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I confini della cultura: il dibattito al festival del giornalismo di Urbino

di    -    Pubblicato il 4/05/2013                 
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URBINO – Nella categoria della cultura sembra che ormai ogni argomento abbia pieno titolo di rientrare: dall’economia alla scienza, dalla matematica alla bioetica. Non si possono dare dei confini a un concetto che per sua natura non ha limiti e si trasforma continuamente. Intorno a questo argomento si sono confrontati durante il festival del giornalismo culturale il giornalista dell’Avvenire Alessandro Zaccuri, che ha mediato l’incontro, Stefano Salis de Il Sole24ore, Marino Sinibaldi di Radio3Rai e la professoressa di sociologia culturale all’università di Urbino Roberta Bartoletti.

“Facciamo spesso l’errore di confinare nella cultura solo alcuni ambiti”, ha detto Salis all’inizio del suo intervento. “Dovremmo imparare ad essere più laici, a guardare il mondo con uno sguardo più ampio”. Avere una visione più aperta significa, secondo il giornalista de IlSole24ore, andare oltre il mero dato di cronaca che non deve essere il fine di un articolo, ma solo un punto da cui partire.

“Bisognerebbe sempre fare il proprio lavoro al meglio anche se nessuno poi ci legge. Dobbiamo tendere alla qualità. Un giornale dà una gerarchia alle notizie e quindi anche al mondo. Opera delle scelte ogni giorno. Per questo bisogna essere competenti, ci vuole professionalità. Saranno queste cose che ci salveranno”, ha continuato Salis che poi ha poi concluso dicendo che “l’informazione per sua natura è asimmetrica, chi parla deve sapere di più di chi legge”.

Il dibattito si è arricchito con l’intervento della professoressa Bartoletti che ha posto l’accento sulle categorie che vengono spesso utilizzata quando si parla di cultura: “Classificare è un bisogno umano innato, per questo sia i sociologi che i giornalisti quando parlano di cultura si trovano davanti agli stessi problemi”.

Il giornalista Sinibaldi ha invece mostrato come è cambiato il concetto di cultura nel tempo: “Basta vedere come si è trasformato il palinsesto di Radio3, il canale radiofonico da sempre dedicato alla cultura, per capirlo. Con il passare degli anni quello che prima non si sarebbe mai considerato cultura, ora rientra a pieno titolo in questa categoria”.

Il centro della discussione si è poi spostato sul concetto di cultura bassa e alta: “Negli altri Paesi questa distinzione è stata smantellata, in Italia questo non è avvenuto. E’ ancora radicato un certo elitarismo”, ha detto Bartoletti. Gli risponde Sinibaldi: “Negli anni alto e basso sono diventati alleati. Il vero nemico è il medio. Per uscire dalla mediocrità serve uno scarto di linguaggio e di pensiero. Un programma, un articolo è culturale solo a certe condizioni: la più importante è come si usa il linguaggio. Parlare o scrivere con dei termini appropriati, capaci di destare sorpresa, meraviglia deve diventare una priorità per chi fa informazione”.

Sinibaldi fa un esempio calzante di come si può trattare un argomento d’attualità da una prospettiva culturale: “L’Italia è uno dei pochi Paesi che ha i Cie, centri di identificazione ed espulsione. I giornalisti dovrebbero chiedersi come fanno gli altri Stati che non ce l’hanno a gestire l’immigrazione nel loro territorio. Questo significa allargare lo sguardo, questo è cultura”.

L’incontro è stato, poi,  interrotto dall’invasione pacifica degli studenti dell’università di Urbino che con megafono e striscione hanno protestato contro la decisione del rettore Stefano Pivato di cancellare la lezione che avrebbe dovuto tenere Antonio Negri il 7 maggio alla Scuola di Scienze Politiche. Politico e filosofo, Negri fu accusato di essere l’ideatore delle Brigate Rosse e il mandante del rapimento di Aldo Moro. Accuse tuttavia mai confermate. Nel 1979 è stato arrestato con l’accusa di avere partecipato a vari omicidi e sequestri. E nonostante abbia scontato la pena alla quale era stato condannato, la sua storia resta intrecciata con gli anni più bui della prima Repubblica.

“La mancata presenza di Negri all’università di Urbino rappresenta una vera e propria censura da parte del nostro rettore. E’ un abuso di potere”, ha detto una delle studentesse. Dopo aver espresso il loro dissenso, gli studenti con rispetto hanno lasciato la sala della conferenza. Ma i relatori non ignorano la protesta e Giuseppe Laterza interviene sulla questione: “Ho i miei dubbi che in una università si debba invitare un signore come Antonio Negri. Ci vogliono delle regole che non limitano la libertà di nessuno. Ha fatto degli atti devastanti e se il rettore lo invitasse si dovrebbe prendere una grande responsabilità”, ha detto l’editore.

Una ragazza del pubblico prende allora la parola: “In una università è giusto che tutti trovino lo spazio per dire la propria, anche Antonio Negri”. Si schiera con gli studenti Sinibaldi. “Che danno potrebbe fare Negri? Posso capire l’imbarazzo nell’invitarlo ma la sua è una voce importante e ormai ha scontato la sua pena”.

A concludere l’incontro è Piero Dorfles che ha spazza via ogni polemica e, cambiando argomento, offre al pubblico una riflessione amara sul nostro Paese: “In questi anni l’Italia è cresciuta e si è trasformata, quello che però non è cambiato né tanto meno aumentato è il numero dei lettori di libri e giornali. Gli italiani non leggono e invece la lettura è un esercizio astratto, apre a visioni più ampie, alla complessità della vita. Non leggere rappresenta una tragedia per il nostro Paese” e poi termina: “Il messaggio che dovremmo far passare in questo festival è che la lettura non è un privilegio ma uno strumento alla portata di tutti che rende ricchi”.

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