URBINO – Nel suo ‘J’ accuse’ al giornalismo culturale italiano non si è risparmiato guadagnandosi alla fine del suo discorso un’ovazione da stadio. Piero Dorfles, celebre critico letterario, è intervenuto questa mattina al Festival del giornalismo culturale di Urbino.
I motivi della crisi del giornalismo della terza pagina, secondo Dorfles, vanno ricercati nel cambiamento della società italiana. Il significato di cultura, quella con la C maiuscola, nel tempo si è ‘democratizzato’ e da settore specializzato è finito per comprendere anche società e spettacoli perdendo così la sua concezione elitaria. Questa trasformazione avrebbe dovuto contribuire a creare una nuova identità in sintonia con lo spirito del tempo, ma questo non è successo.
“Le grandi firme del giornalismo culturale – dice Dorfles – esistono ancora, ma il loro spazio è sempre più ristretto. La tv, la radio e le piccole testate hanno eliminato la figura del critico, di conseguenza anche la visione della cultura come settore ‘specialistico’ è affievolita”.
Anche la rivoluzione tecnologica ha contribuito a scansare la ‘terza pagina’. Il giornale cartaceo è stato superato dai nuovi media. “Oggi uno scrittore deve degnarsi di morire per avere attenzione mediatica – continua il critico – oppure vincere un prestigioso premio letterario”. La crisi ha di certo ha contribuito a esasperare la situazione. Gli investimenti sono sempre minori e chi investe punta a quei settori più redditizi. Purtoppo però la cultura non è tra questi.
In quest’ottica il mestiere del critico rischia di tramutarsi in un lavoro d’altri tempi. ” Il giornalista culturale ha perso la sua autorevolezza. I critici sono sempre meno e meno specializzati e devono sottostare alla logica dei rapporti di forza – continua Dorfles – spesso si è costretti a tralasciare la vera critica culturale per favorire la ‘polemica‘, il giornalista si trasforma in ‘story teller’ per soddisfare la necessità di direttori ed editori di vendere. Credo che dovremmo dispiacerci tutti e imparare a disobbedire di più ai nostri direttori perché solo così potremmo ridare al giornalismo culturale la sua funzione”.
Sempre più spesso la Terza pagina è usata per parlare in modo privato favorendo gli interessi di chi è a capo del giornale. In un’ottica di favoritismi e ‘marchette‘ al critico viene impedito di svolgere la sua funzione sociale. Il problema è che “la società letteraria mangia se stessa – dichiara il critico – questa autoreferenzialità è un grande limite, perché il giornalismo dovrebbe per prima cosa guardare verso l’esterno e dialogare con la società”.
Ma quali sono i rischi? Secondo Piero Dorfles si rischia di trasformare la nostra espressione in qualcosa di confuso, “temo che prima o poi finiremo per confondere Faletti con Proust! La crisi dei valori è così profonda che il ruolo di chi dovrebbe trasmettere il sapere e tutelarlo sta diventando sempre più secondario”.
” La cultura serve a costruire il futuro e a vivere il presente – conclude il critico – chiediamoci dove ci porterà quest’indifferenza collettiva verso la cultura, perché proprio la cultura potrebbe essere una soluzione alla crisi”.