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Le mille storie di Aron il viandante che ogni anno torna a Urbino

di    -    Pubblicato il 13/05/2013                 
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URBINO – Seduto a terra, accanto al pesante portone dell’Ersu, pochi passi prima del Duomo, sistema accanto a sé lo zaino pieno di tutte le sue cose. Davanti ha una ciotola di alluminio e un cartello di cartone con su scritto: “Cerco pace spirituale”. Non chiede l’elemosina. Per vivere vende braccialetti fatti all’uncinetto che costano 70 centesimi l’uno. Aron è un senzatetto, quello che tutti chiamano un barbone. Tutto quello che desidera è qualcuno con cui parlare, perché di cose da raccontare ne ha tante, ancora di più sono invece le sue storie. Come se avesse vissuto mille vite. Nato a Barcellona, ha 50 anni, la barba e i capelli lunghi e due grandi occhi marroni sul viso scavato. Ogni anno in primavera torna a Urbino. Quando qualche passante vuole mettere dei soldi nella sua ciotola, Aron lo ferma: “Aspetta, preferisco che me li dai in mano”, dice e non li accetta se prima non prendono i suoi braccialetti.

Bastano poche parole per ritrovarsi nel suo mondo, dove il confine tra finzione e realtà non esiste. “Sono nato da una donna aristocratica che mi ha avuto fuori dal matrimonio. Così per sbarazzarsi di me, mi ha affidato ad una famiglia povera di Barcellona che aveva già tre figli. Sono cresciuto come un randagio, mendicando affetto. Quando qualcuno mi teneva per mano oppure mi sorrideva, io ero il bambino più felice del mondo e non lo volevo lasciare più”.

Racconta di anni di sfruttamento, di violenze, di tentate fughe mai riuscite. Poi i ricordi diventano confusi. Aron, questo ‘cantastorie’ che sembra appartenere a un’altra epoca, inizia a narrare le sue vite parallele, quelle che il destino non gli ha permesso di vivere ma che lui crede ugualmente di aver vissuto. Così eccolo cantare all’età di cinque anni, con Elvis Presley, fare spot pubblicitari in tutta Europa, incontrare Paolo VI, diventare amico di Aldo Moro e recitare nel primo episodio del film “Lo squalo” di Spielberg. “E’ per questo che tutti mi chiamano Aron Spielberg”, afferma convinto. Quando aveva 16 anni è scappato di casa e non è più tornato.  Non importa se siano storie vere o finte: ad Aron basta trovare qualcuno che lo ascolti per credere di avere avuto nella vita tutto quello che ha desiderato, per rendere il suo presente accettabile.

Quello che è certo è che Aron da molto tempo vive in Italia, viaggia a piedi, con il grosso zaino caricato sulle spalle e la tenda in mano. Non ha documenti: Aron esiste soltanto per quei pochi passanti che lo vedono tornare negli stessi luoghi e si ricordano di lui. Ogni anno fa tappa a Urbino: “Vengo qui perché mi sento un po’ come a casa. Tutti mi conoscono, i ragazzi mi offrono da mangiare e un posto dove dormire. Ma io non accetto. Mangio solo le cose che compro e dormo nella mia tenda in mezzo ai prati. Non ho mai bevuto e da 5 anni ho smesso di farmi anche le canne”, dice Aron mentre spalma il miele su una fetta di pane. “Nelle grandi città mi sento perso. Quando vado a Roma non mi posso muovere a piedi e l’autobus o la metro costano troppo. Qui invece sto bene anche se non riesco a stare troppo tempo in un posto. La prossima meta sarà Orvieto e poi chissà”.

“Le mie giornate le trascorro così: mi alzo, cerco di lavarmi come posso, faccio il fuoco mettendo dell’alcool in una lattina e mi cucino qualcosa. Poi vado in giro a vendere i miei braccialetti. Ne faccio uno al minuto. Oppure suono il mio clarinetto”, dice mostrandolo con orgoglio.

“Questa è la mia vita. Mi accontento di fare due chiacchiere con qualcuno ogni tanto. Quando avevo 18 anni mi ero innamorato di una ragazza ma lei non mi ha voluto. Da allora ho avuto solo storie occasionali e”, racconta. “Ho avuto tante bastonate e ho sempre cercato di non legarmi a nessuno per paura di rimanere deluso. Non credo in Dio, ma se un giorno lo dovessi incontrare, la prima cosa che gli chiederei è: perché mi hai fatto questo?”, dice Aron mentre continua a intrecciare i fili dei suoi braccialetti e a raccontare le sue mille vitemai vissute a chi ha tempo di ascoltarle.

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