Generazione dei senza lavoro:
La strada rossa a Urbino la conoscono tutti. Salendo da piazza Mercatale in direzione dei collegi universitari, a un certo punto, sulla sinistra, si affaccia un cartello dalla scritta minacciosa che più che indicare sembra avvertire. Dopo pochi metri l’asfalto inizia a sciuparsi e la strada si fonde con il bosco trasformandosi in sentiero. All’estremità opposta si trova Fermignano, che diventa irraggiungibile nei lunghi e freddi inverni urbinati e che resta un miraggio quando la neve inghiotte la terra. In realtà sono in molti quelli che si avventurano lungo la strada rossa: c’è chi lo fa per evitare il traffico, chi per godersi qualche chilometro di silenzio e chi perché in mezzo a quella meraviglia della natura ci lavora o studia.
SONDAGGIO Viva gli spin-off, questi sconosciuti
A circa tre chilometri da Urbino, nascosto tra gli alberi e appoggiato sulla collina come un fortino, si trova il futuristico edificio che ospita il Dipartimento di Scienze della terra, della vita e dell’ambiente (DISTeVA). Il campus scientifico Enrico Mattei, ex Sogesta, è allo stesso tempo un luogo di vita, di studio e di lavoro. Una parte della struttura è destinata agli alloggi e alla mensa, l’altra agli uffici dei docenti, alle aule per le lezioni e ai laboratori di analisi.
È tutto perfettamente fuso con il contesto in cui si trova, immense vetrate fanno entrare la natura fin dentro le stanze e le pareti perdono la loro funzione di barriera e divengono un prolungamento di quello che c’è all’esterno. “Questa filosofia di compenetrazione rappresenta un po’ lo spirito con cui l’università deve affrontare il futuro – racconta il professor Riccardo Cuppini, direttore del dipartimento – oggi non basta più racchiudersi nel proprio guscio, è necessario allargare i confini, uscire dalle ristrettezze spaziali e mentali”.
Il campus potrebbe sembrare autosufficiente se visto nel suo isolamento, così come fino a non molti anni fa era considerata l’università. Eppure oggi è impensabile prescindere dal confronto con il mondo vero. La realtà accademica è da sempre un serbatoio di idee, ma il rischio è che queste rimangano tali, siano buone solo in potenza, non trovando poi una loro applicabilità al di fuori.
Allora come fare per liberare l’università da questa autoreferenzialità atavica fin troppo legata agli schemi del passato? Secondo il professor Cuppini la formula dello spin-off rappresenta un’opportunità da cogliere sia per i docenti che già operano nel dipartimento, sia per gli studenti interessati a fare ricerca.
Ma che cos’è uno spin-off?
È una società di capitali che nasce su iniziativa di personalità interne al mondo accademico e che ha come scopo quello di utilizzare i risultati della ricerca a vantaggio delle realtà industriali. Gli spin-off universitari rappresentano un fenomeno relativamente recente in Italia, i primi sono nati all’inizio del 2000, in seguito al decreto legislativo n.297 del 27 luglio 1999. Una delle regioni con il più alto numero di spin-off sono le Marche.
Università marchigiane | numero spin-off attivi |
---|---|
Urbino | 3 |
Ancona | 33 |
Camerino | 11 |
Macerata | 0 |
Totale | 47 |
Lo spin-off, e nel caso specifico ‘Ecoman’ (ecological management), è una società di capitali che si propone di collegare gli studi fatti in ambito universitario al mondo del lavoro. In pratica, le professionalità vengono messe al servizio di tutte quelle imprese che hanno bisogno di una consulenza in materia ambientale. “Lo spin-off è una risorsa fondamentale per l’università – sostiene Stefano Pivato, rettore della ‘Carlo Bo’ di Urbino – attraverso la collaborazione con le aziende è possibile creare un futuro lavorativo per le nuove generazioni”.
Ascolta l’audio del rettore Stefano Pivato
Ecoman è stato inaugurato il 10 maggio alla camera di commercio della provincia, ma opera già dal novembre 2012. L’idea è del professor Gaetano Cecchetti, il primo ad aver diretto il dipartimento DISTeVA. Ora in pensione, ma da sempre impegnato in progetti di ricerca, ha deciso di coinvolgere personalità dalle più svariate competenze, dai chimici, agli ecologi, agli avvocati, per costruire un progetto di cooperazione tra università, enti pubblici e privati.
“Le imprese oggi si trovano a far fronte a due ordini di problemi – continua il professor Cuppini – da una parte devono garantire un’adeguata igiene del lavoro per chi opera al loro interno, dall’altra non possono più ignorare l’impatto che la loro produzione ha sull’ambiente. Con lo spin-off l’università può fornire una consulenza a 360 gradi per superare questi ostacoli”. Se le grandi realtà imprenditoriali hanno dato una risposta entusiasta, confermando collaborazioni che esistevano già prima della creazione di Ecoman, ora è importante inviare segnali positivi anche alle aziende più piccole del territorio. “La sfida cruciale – conclude Cuppini – è attrarre le strutture locali, che purtroppo hanno una minore disponibilità economica. Un ruolo chiave viene anche dalla mediazione di Regione, Provincia e degli enti pubblici in generale”.
Ad oggi sono tre i docenti del dipartimento coinvolti nel progetto Ecoman, due zoologi e un ecologo che, accanto all’attività di ricerca, hanno voluto impegnarsi partecipando individualmente con il loro capitale. “È necessario estendere il più possibile quello che è il codice etico verso l’ambiente – sostiene la zoologa Maria Balsamo – non è più sufficiente fare ricerca universitaria in sé e per sé, ci deve essere interazione con il mondo del lavoro, soprattutto per i nostri ragazzi. Qui sono circa una decina i dottorandi, è a loro che dobbiamo parlare”.
Il campus conta diversi laboratori e a breve ne verranno attivati almeno altri tre. La dottoressa Marta Iacobucci si muove tra i campioni da analizzare come fosse a casa sua. “Attraverso Ecoman le aziende si rivolgono a noi, ad esempio per misurare il livello di emissioni dannose, così facciamo i sopralluoghi e svolgiamo le analisi qui in laboratorio. Poi uniamo le nostre ricerche a quelle di colleghi con altre competenze e insieme stendiamo un fascicolo che andrà ad operare sulle richieste che ci sono state fatte. È un lavoro sinergico che non resta chiuso in questa stanza, ma viene portato direttamente a chi può beneficiarne”.