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Profile e Current: quando il giornale sogna il social network

di    -    Pubblicato il 10/06/2013                 
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In principio era la carta, poi l’informazione è migrata sulla Rete. I giornali elettronici, un tempo mere riproduzioni dei fogli cartacei, si sono trasformati progressivamente, hanno scoperto il linguaggio e le regole di Internet, hanno imparato a giocare sui social network con i propri lettori.

Oggi le grandi media company tentano un nuovo balzo in avanti, affiancando ai loro prodotti editoriali veri e propri social network con lo scopo di arricchire l’offerta rivolta ai lettori, e fidelizzarli: i protagonisti di questa tendenza sono soprattutto i grandi editori economici, intenzionati a dare vita a network di nicchia, tagliati su misura per un pubblico selezionato di professionisti.

L’ultima creatura venuta alla luce è WSJ Profile, una rete simile a LinkedIn realizzata per i lettori del Wall Street Journal. La nascita del nuovo strumento è stata annunciata lo scorso 28 maggio da Lex Fenwick, amministratore delegato di Dow Jones ed editore del quotidiano finanziario più autorevole del pianeta: “Vogliamo permettere ai nostri lettori di partecipare all’economia della condivisione – ha detto Fenwick – in questo modo aumenterà il tempo che trascorreranno sul sito e noi saremo capaci di conoscere meglio le loro preferenze. Il network faciliterà anche la pubblicità mirata”. Perché è proprio questo, la pubblicità su misura, che rende miliardi di dollari a Facebook e Google. Riuscire a intercettare parte di quel flusso è la grande sfida.

CRONOSTORIA I social e i media: storia di fallimenti 

Le funzioni di Profile comprendono un servizio di instant messaging, strumenti per caricare ricerche economiche e monitorare gli investimenti ma soprattutto permettono di rendere visibili le informazioni sulla professione dell’utente: quest’ultimo aspetto sembra ricalcato da LinkedIn, il social network usato dalle aziende per vagliare e reclutare le figure professionali. Per saperne di più, però, bisognerà aspettare ancora qualche giorno, mentre non è ancora chiaro se il lancio ufficiale avverrà su scala globale o inizialmente solo negli Stati Uniti.

I social network, però, sono creature volubili ed è facile scottarsi le mani. Ne sa qualcosa Rupert Murdoch, proprietario di News Corporation (e quindi dello stesso Wall Street Journal): il magnate australiano ha comprato MySpace nel 2005 per la cifra di 580 milioni di dollari, rivendendo il sito nel 2011 per la misera somma di 35 milioni.

Anche Bloomberg rientra nel novero degli editori recidivi, innamorati perdutamente dell’idea di creare il proprio social network: la prima volta risale al 2008, anno di nascita di Current. Il sito, che non ha mai avuto successo, era una sorta di Twitter finanziario, uno spazio dove gli utenti potevano informarsi ed informare in tempo reale su quanto accadeva nel mondo degli affari. Per aumentare la visibilità di Current, il team di Bloomberg ha aperto anche un profilo sul “rivale” Twitter, ma l’ultimo segno di attività risale all’autunno del 2011.

Ora Current riemerge dall’oscurità con una versione Beta, della quale, al momento, è possibile vedere solo la pagina di login: “Il nostro scopo è filtrare il rumore – spiegano gli sviluppatori del sito – fornire ai leader finanziari i contenuti più rilevanti”. Per fare ciò hanno rimodellato la grafica e puntato su un sistema di ricerca per tag, ma ancora non è chiaro quando Current sarà realmente accessibile.

Maggior successo ha avuto un altro social realizzato da un editore: the Guardian Soulmates. L’autorevole quotidiano britannico ha lanciato nel 2007 un sito di incontri sulla falsariga di Meetic, ma lo scopo, più che far incontrare le anime gemelle, è sostenere economicamente il giornale: gli utenti, infatti, pagano un abbonamento mensile di 32 sterline.

Un esempio tutto italiano è Gazzaspace, la community della Gazzetta dello Sport dove gli utenti commentano le notizie, giocano a Fantacalcio e si riuniscono in gruppi. Con il tempo sono aumentate le funzioni: i lettori più attivi vincono dei badges, dei riconoscimenti che possono esibire anche sui loro profili Facebook. Ma molti giornali italiani stanno cercando di costruire delle community di lettori, anche se la profondità di interazione non è molto sviluppato.

Tra scetticismo ed entusiasmo, questi nuovi social aprono una strada che presto potrebbe essere percorsa da altri protagonisti dell’informazione, ma una questione rimane in sospeso: è sufficiente dare nuovi spazi ai lettori per rilanciare le sorti delle imprese editoriali?

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