URBINO – “Magari! Magari ci fosse qualcuno interessato a fare l’orafo. Mia figlia è psicologa, mio figlio avvocato. Non hanno voluto seguire le
orme del padre. Io cerco ancora di vendere la mia licenza. Ma oggi i giovani hanno altri interessi. Non mi resta che chiudere”.
Vittorio Marcucci , orologiaio e orafo di Urbino da 54 anni, a maggio 2014 chiuderà il suo storico negozio. Così, i locali sfitti di via Raffaello diventeranno dieci.
Vittorio ha 77 anni, due figli e due nipoti per i quali piange dall’emozione: racconta che non esiste sensazione più bella dello stringere tra le braccia un neonato. Mostra orgoglioso le foto della sua famiglia nelle cornici d’argento che vende in negozio.
“Da questa bottega ho visto scorrere la vita di Urbino degli ultimi cinquant’anni: tantissime attività hanno aperto e chiuso. Mercerie, negozi di abbigliamento, agenzie immobiliari, botteghe”. Pensa un attimo e aggiunge: “Sì, hanno chiuso davvero in tanti”.
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Gli orologi a cucù del negozio suonano tutti insieme. “Ricordo bene il giorno che ho iniziato a imparare il mestiere. Ero stato bocciato in seconda media e allora mio padre mi disse: ‘Sai che c’è? Se non hai voglia di studiare, vai almeno a imparare il mestiere da un mio amico”.
Il suo “maestro” era molto conosciuto a Urbino, era “un artigiano della vecchia scuola”. “La prima settimana ho guardato quello che faceva – racconta Marcucci – Cercavo di capire a cosa servissero gli attrezzi e pulivo la bottega. Poi, dopo qualche giorno, il maestro mi regalò 150 lire e mi disse ‘questo non è mica uno stipendio! È solo un regalo perché come apprendista dovresti essere tu a pagare me per le cose che t’insegno’”.
“E aveva ragione – sottolinea Marcucci – perché a quel tempo tutto era diverso. Stare in bottega era un privilegio”.
Una volta imparato “il mestiere”, Vittorio inizia ad aiutare l’artigiano da casa. “Il maestro mi aveva regalato gli strumenti. Fino al 1958 l’ho aiutato nel suo lavoro. Riparavo orologi, cambiavo ingranaggi, incidevo anelli. Poi sono partito per il militare. L’ho fatto per due anni, fino al ’60. Quando sono rientrato in città, ho aperto il negozio con mio fratello. Lui suonava la fisarmonica in una banda, era un concertista con una vita sconclusionata. Lasciò quel lavoro per dedicarsi con me a questa impresa”.
Marcucci non crede nella ripresa, ma continua a sperare: “Io spero ancora, spero in Renzi!” dice ridendo.
Poi torna serio: “La crisi ha colpito tutti. Però devo ammettere che il ceto medio è quello che soffre di più. Prima le persone si trovavano ancora qualche soldo in tasca a fine mese. Magari decidevano di spenderli nel mio negozio. Oggi, invece, si fatica e anche a pagare le bollette. Chi acquisterebbe un orologio o un gioiello a cuor leggero?”.
Gioca con la fede e mostra l’incisione che c’è dentro: “questa l’ho fatta io” dice orgoglioso. Poi, prende dal magazzino la macchina per le incisioni e fa vedere la rotella con le lettere. “Si deve stare molto attenti in questo lavoro – dice Marcucci – perché se sbagli anche di qualche millimetro hai perso un anello d’oro”.
Poi, uno dopo l’altro, indica sul bilancino di precisione i timbri lasciati dai funzionari di Stato: “Negli anni ’60 c’erano molti controlli a sorpresa. Cercavano di scoprire chi imbrogliasse sul peso dell’oro”.
Vittorio prende una moneta da due centesimi e la mette sotto uno dei due piattini del bilancino. “L’ago della bilancia si sposta. Bastava tararla e così potevi vendere meno oro a un prezzo più alto”.
Da qualche decennio, però, non è così. “È bastato pagare una tassa e dei controlli neanche più l’ombra” dice.
Marcucci è consapevole dei tempi che cambiano. “Chi verrà in questo locale dopo di me, dovrà cambiare tutto. É giusto così. Non sono d’accordo con chi dice che si stava meglio prima. Basta un po’ d’amore. Basta avere la passione per le cose che si fanno. Basta amare la propria città”.
Poi, ancora una volta pensieroso, aggiunge: “Non c’è niente da fare, i tempi sono davvero cambiati!”.