Istituto per la Formazione
al Giornalismo di Urbino

i corsi - la sede - contatti
gli allievi - i docenti - l'istituto

“Poche stroncature, ma son tutti capolavori?”. Mancuso, De Mieri e i vizi del giornalismo culturale

Mariarosa Mancuso e Michele De Mieri

Mariarosa Mancuso e Michele De Mieri

URBINO – Gli italiani leggono poco, è vero. Ma la colpa non sarà pure degli scrittori e dei giornalisti culturali italiani? Se lo chiedono Michele De Mieri, giornalista di Radio3, e Mariarosa Mancuso, penna di punta de Il Foglio. E ci vanno giù duro con i colleghi: “Nella pagine culturali si parla solo di letteratura in termini di opere perfette: può essere mai?” dice De Mieri. “Esce un film o un libro italiano e siamo tutti pronti a gridare al capolavoro anche se magari abbiamo dormito per metà pellicola”. Gli fa eco Mancuso. Attacchi che sono sfociati in una polemica vivace, di “giornalisti che criticano giornalisti”. Un buon segno secondo Giuseppe Laterza.

Secondo i due relatori, oggi al Teatro Sanzio di Urbino, la disaffezione dei lettori italiani nei confronti della letteratura ha delle origini precise: una sorta di atteggiamento di “ipocrisia” di chi è operatore culturale nelle pagine dei quotidiani nei confronti del lettore.

“È possibile – afferma De Mieri – che giornali e case editrici abbiano un rapporto fisso? E che quasi mai i libri di un certo editore vengano stroncati dal giornalista di una certa testata? Ora, non dico che si debba procedere alla stroncatura per la stroncatura. Ma pare che la critica che permea tutte le pagine di un quotidiano, dalla politica all’economia, una volta arrivati alla pagina della cultura sparisca improvvisamente”.

Mancuso si interroga sugli errori del giornalismo culturale: “Sapete qual è il segno che stiamo sbagliando? Mi è capitato che la gente mi fermasse per strada per chiedermi: ‘Ma di quel libro che hai recensito, cosa pensi veramente?’. Ma come cosa penso veramente? Penso quello che ho scritto”.

Ma evidentemente il lettore italiano è consapevole del rischio “marchette” sempre in agguato nelle pagine del giornali dedicate alla cultura. Pagine che proprio per questo motivo rischiano la ghettizzazione. Non solo per la mancanza di sincerità nei confronti del lettore ma anche per la scarsa accessibilità. Tradotto: sono scritte in maniera noiosa e solo per dare sfoggio della cultura dell’autore.

“Non si può dare torto a chi non legge i giornali – continua Mancuso – sono scritte in maniera tale da non attirare il lettore. E non sto parlando di attirare in termini di oscenità. Ma se pensiamo alla lettura, chi di noi ha mai preso un libro in mano con lo scopo di migliorarsi? Nessuno. La lettura ha a che fare con il divertimento, con il piacere. Non capisco, quindi, perché non possa essere divertente o piacevole anche il passaparola a questo legato. Carlo Fruttero diceva che la lettura è una passione esclusiva come il gioco e il terrorismo. E io la penso come lui”.

Secondo i due giornalisti, quindi, nessun dubbio sul fatto che alcuni lettori abbiano perso il gusto della lettura, così ingolfati in recensioni piatte che non riescono a suscitare interesse. Piatte e acritiche. Che non solo hanno effetti negativi sull’alfabetizzazione del Paese ma anche sul ruolo del giornalismo culturale.

“Se uno perde credibilità – continua Mancuso – può dare la colpa solo a se stesso. Cioè se stronco, per dire, Piperno perché non mi piace uno che mette più di due avverbi in una sola frase, non faccio un torto a lui come persona, svolgo solo bene il mio mestiere”.

Un dialogo molto critico verso la categoria, soprattutto sui colleghi “mainstream”, coloro che rimangono impigliati in logiche editoriali e di interessi di “mercato”. Al punto tale che in platea scoppia la polemica. A innescarla principalmente De Mieri che dal palco del Sanzio lamenta le abitudini dei colleghi che recensiscono sempre e solo polizieschi o gialli – Camilleri la fa da padrone – e determinate case editrici. “La Sellerio ha pubblicato ben 12 libri di Roberto Bolaño – dice De Mieri – e nessuno ha mai prestato attenzione a questo autore. A un certo punto Adelphi lo riesuma pubblicando alcune delle sue opere peggiori e via con le paginate sui giornali italiani. Come se bastasse passare dal blu scuro della Sellerio alla cromatura pastello della Adelphi per svegliarsi di colpo”.

Dalla penultima fila del teatro Luigi Mascheroni de Il Giornale, però reagisce sentendosi chiamato in causa: “Quando sulla Treccani è uscita l’accusa a Camilleri – dice Mascheroni – per aver plagiato l’ultimo suo libro, nessuno ne ha scritto tranne me, perché né Il CorriereLa Repubblica volevano mettersi contro l’autore”. E sulla regola non scritta dei giornali di non pubblicare recensioni già pubblicate dalle testate concorrenti aggiunge: “Sono d’accordo con voi, è una regola stupida ma nessuno agisce in modo diverso. Qualcuno può smentirmi?”.

Il dibattito dei giornalisti tra palco e platea piace all’editore Giuseppe Laterza: “Giornalisti che criticano giornalisti. Mi pare sia l’inizio di un buon percorso”.

Sullo stesso argomento:

I commenti sono chiusi