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Marino Sinibaldi, Radio3: “Il giornalismo culturale è una sciocchezza”

di e    -    Pubblicato il 27/04/2014                 
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Lella mazzoli e Marino Sinibaldi

Lella mazzoli e Marino Sinibaldi

URBINO – “Io non voglio più sentir parlare di giornalismo culturale né di festival del giornalismo culturale”. Marino Sinibaldi, direttore di Rai Radio3, ha risposto così alle domande del pubblico durante l’ultimo evento del festival di Urbino, dove è intervenuto per presentare il suo libro “Un millimetro in là”: una conversazione con Giorgio Zanchini su come è cambiato l’approccio alla cultura nel mondo delle nuove tecnologie.

Il giornalismo culturale è una sciocchezza, oggi siamo tutti mediatori culturali perché le informazioni sono accessibili a chiunque. I giornalisti sono rimasti a presidiare una porta da cui non passa più nessuno: i giornali”. Secondo Sinibaldi internet ha realizzato un vero e proprio miracolo nella storia dell’umanità, permettendo l’accesso illimitato ad ogni forma di informazione e cultura.

“Fino a pochi anni fa farsi una cultura musicale era difficilissimo: bisognava registrare le canzoni alla radio con la cassetta. Ora invece chi rimane un dilettante, un ‘flaneur’ della cultura è scemo. Io – continua Sinibaldi – ero proprio così: sono cresciuto in una casa senza libri, venivo da una famiglia di non lettori. Non ho fatto l’università e mi sono limitato a bighellonare tra librerie, teatri e altri luoghi che mi hanno consentito, con una sorta di ‘bricolage’ personale, di costruire quello che sono”.

Oggi però questo non è più accettabile. Sinibaldi parla di una vera e propria rivoluzione: “Con la Rete abbiamo portato a compimento la storia della comunicazione. Abbiamo realizzato quello che l’umanità per tutta la storia ha tentato di fare: comunicare in maniera immediata, precisa ed estesa. Non possiamo non assumerci la gioia, e anche la responsabilità, di aver realizzato tutto questo”. Un miracolo che non può e non deve essere letto come una catastrofe per l’inevitabile cambiamento che ogni innovazione porta con sé: “Ogni generazione pensa che il nuovo spazzerà via tutto quello che c’era prima ma non è così. Bisogna avere il coraggio di mettere le mani dentro questa cosa intricatissima che sono le nuove forme di comunicazione”.

Nessuna nostalgia, nessun limite mentale: Sinibaldi celebra il caos e la mancanza di deferenza e venerazione verso la cultura tradizionale fatta di libri: “ Il libro non va venerato. Leggetelo, scambiatelo ma non veneratelo”. E ricorda l’episodio di quando era un giovane magazziniere alla Mondadori: “Oggi Teilhard de Chardin è considerato il precursore del cyberpunk, ma i suoi libri per me sono ancora il ricordo di 5 casse, caricate con grande fatica sul camion, e poi tornate indietro ancora chiuse”.

A chi gli chiede se il suo libro racconti la cultura come un vissuto sociale collettivo nato dall’esperienza del ’68, Sinibaldi risponde: “Sicuramente è un libro su una generazione molto collettiva ma io disprezzo la nostalgia. Di quel periodo non ho mai parlato nemmeno con mia figlia, penso che molte cose della mia vita le apprenderà proprio dal libro”. “Non ha senso fare confronti con quel periodo della storia italiana perché oggi – continua Sinibaldi – la dimensione del sociale è incommensurabile rispetto a quello che ho vissuto io. Ci sono tutte le possibilità per la condivisione e per non sentirsi isolati”.

Sinibaldi porta come esempio un ipotetico lettore di manga di Monterotondo: “Vent’anni fa sarebbe stato lo sfigato del paese con un autostima bassissima perché non amava guardare le partite al bar come i suoi coetanei. Oggi invece quella persona ha, magari, nella Rete un’autorità mostruosa e non si sente più così isolato”. L’idea di progresso come cambiamento e rottura delle regole è il cuore di questo libro. Un’idea, secondo Sinibaldi, in antitesi con quella di potere e di legalità: “Una volta venivano sanzionate cose ora legali come l’obiezione di coscienza, l’aborto o l’apertura di una tv privata”.

Anacronismi che vanno di pari passo con l’idea del potere: “Per me è la forma più stupida, banale e pigra che abbiamo trovato per affrontare le diseguaglianze”. Nulla è solo bianco o nero, ci sono mille sfumature nel progresso: “Il cambiamento è inevitabile – afferma Sinibaldi – ma l’innovazione non va da una parte sola: pensare il contrario è una vera e propria truffa ideologica”.

Ne è un esempio la narrazione degli anni di piombo: “L’Italia veniva presentata da tutti come un paese grigio, ripiegato su se stesso e bisognoso di austerità. Ma dall’altra parte c’erano persone come Silvio Berlusconi e Renato Nicolini che avevano capito che non era così e che gli italiani avevano voglia di condivisione e di divertimento. Berlusconi inventò infatti la tv commerciale e Nicolini ‘l’estate romana’”. La risposta secondo Sinibaldi sta tutta qua: “Non accettate il ricatto di un’idea di innovazione a senso unico. Il cambiamento dipende da noi”.

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