di ANTONELLA MAUTONE
URBINO – Steve Della Casa è un critico cinematografico torinese. Dopo i trascorsi giovanili da attivista politico con Lotta Continua, si è sempre occupato di cinema. Ex presidente del Torino Film Festival e del Roma Fiction Festival, dal 1994 è uno dei conduttori di ‘Hollywood party’, trasmissione radiofonica in onda sulle frequenze di Radio 3 Rai.
Lei ha vissuto il cinema passando dai cineclub ai festival alla radio. Quale di questi strumenti preferisce?
Sicuramente la radio. Rispetto alla tv c’è più contatto e meno mediazione tra presentatore e pubblico.
Perché secondo lei una trasmissione come ‘Hollywood Party’ va in onda da 25 anni? Cosa rende speciale raccontare il cinema attraverso la radio?
È il paradosso del raccontare il cinema, che è arte visiva, attraverso il mezzo radiofonico. Devi esserebravo nel trovare una serie di trucchi per fare rimanere la gente incollata alla radio. Puoi ottenerlo solo conoscendo bene quello di cui parli. Siamo una squadra composta da molte persone con formazione culturale diversa, c’è un forte rispetto reciproco senza animosità.
Che cosa pensa del fatto che il Festival del Cinema di Cannes abbia deciso di eliminare la proiezione per la stampa, quella precedente l’anteprima destinata al pubblico, per evitare che le “critiche feroci” fatte dai giornalisti sui social network rovinino l’anteprima stessa?
Mi sembra un’ottima idea. Le proiezioni per la stampa sono diventate uno status symbol. Avevano senso quando esisteva solo la carta stampata: allora i giornalisti avevano bisogno anche di 24 ore per scrivere e pubblicare. Oggi la recensione la trovi online dopo mezz’ora. La critica cinematografica è sempre foriera di castronerie: un tribunale del popolo, una fonte non di ricchezza ma d’impoverimento che non aggiunge nulla al dibattito. Per questo la figura del critico sta scomparendo. Nessuno ormai evita di andare al cinema perché un critico ha stroncato quel film.
Scusi. ma lei non è un critico cinematografico?
Non ho mai messo ‘pallini’ a un film. Anche a ‘Hollywood Party’ il cinema non lo stronchiamo: ci limitiamo a raccontarlo. Quest’anno si è parlato della guerra che il Festival francese ha fatto a Netflix, conclusasi con la scelta, da parte degli organizzatori, di far entrare in gara solo pellicole che verranno proiettate prima al cinema. È una scelta giusta se fatta per tutelare le sale. Anche se ormai è importante riconoscere che il 90% dei film vengono visti per la prima volta sul piccolo schermo.
Da ex direttore riconosce quindi che i festival hanno perso l’importanza di una volta?
Certo che sì. Una volta servivano a far conoscere autori sconosciuti. Ora sono come un supermercato che vende una serie di prodotti tutti uguali senza la stessa forza di osare, di fare scoprire autori emergenti.
A proposito di Netflix , c’è chi sostiene che le serie tv hanno ormai superato il cinema a livello qualitativo.
Non si può generalizzare: ci sono ottime serie, così come ce ne sono altre meno buone. Il dato certo è che queste produzioni hanno investimenti maggiori perché non hanno il problema di ottenere un fatturato immediato. Pensi ad una serie come ‘Il trono di spade’: hanno investito soldi perché i produttori sanno d’avere un pubblico assicurato. Non si rischia più di finanziare film al cinema perché trovare spettatori è ormai un azzardo.
Un cambiamento rispetto agli anni d’oro del nostro cinema…
Che il cinema non abbia più la centralità di un tempo è ormai un dato di fatto. Era il divertimento preferito degli italiani: si staccavano decine di milioni di biglietti l’anno, oggi se ne vende un decimo. Una volta la gente litigava per un film, c’erano contestazioni, si creavano dibattiti. Questo non accade più. Una volta se volevi capire gli Anni 60 era essenziale guardare film come ‘Il sorpasso’ di Dino Risi. Non è solo una questione di qualità: esistono dei buoni prodotti, anche in Italia, penso ad esempio a ‘Jeeg Robot’, un film recitato benissimo. Il cinema è stato non una ma la forma d’arte del 900. Ma ora non lo è più. Bisogna accettarlo: c’era chi come Godard diceva che il cinema sarebbe durato un secolo al massimo, pensi ora che sono passati 120 anni.