Il giornalismo diventa fumetto: il mondo a vignette di Gianluca Costantini

di MARTINA MILONE

URBINO – “Se non hai mai letto neanche Topolino, non puoi capire la grammatica del fumetto”. Ne è convinto Gianluca Costantini, classe 1971, che della sua passione ha fatto un lavoro. Tra i più famosi disegnatori in Italia, da oltre 15 anni Costantini indaga la realtà tramite l’arte della fumettistica.

Nel suo curriculum vanta collaborazioni con D la Repubblica delle Donne, la Lettura Corriere della Sera, Pagina99 e molti altri. Ma a essere rimasto nel suo cuore è soprattutto Internazionale, con cui ha lavorato in molte occasioni.

Va a lui, in Italia, il primato per aver introdotto il genere del graphic journalism. Un modo diverso, alternativo ed efficace per fare informazione, nato a cavallo del nuovo millennio dalla mente di Joe Sacco, giornalista e disegnatore maltese. Intervistato da Il Ducato, Gianluca Costantini si racconta e dà il suo punto di vista, artistico e culturale, sul nuovo genere.

“È un nuovo modo di raccontare – spiega –. C’è una grande differenza tra un articolo di giornale e un fumetto. Prima di tutto l’immagine, non è quella fotografica, ma quella soggettiva dell’artista: quello che lui vuol far vedere”.

Un prodotto che però non può sostituirsi al pezzo, né al lavoro giornalistico. “Si compensano, non sono alternativi. L’uno integra l’altro”. Un articolo scritto, infatti, può raccontare molte cose, ma è poco “immaginario”, poco evocativo. Viceversa nel fumetto l’immagine prevale: molto spesso la sintesi delle parole non basta a raccontare tutto. “Le due cose insieme, per me, sono molto potenti. Credo nel loro futuro”, specifica Costantini.

Nel novero dei suoi lavori, ce n’è uno che maggiormente gli è rimasto nel cuore. “È una storia che ho raccontato per Internazionale. Parla dei fratelli Kouachi, gli attentatori di Charlie Hebdo. L’attentato prese di mira proprio i disegnatori, così accettai. Raccontai la loro vita, dalle origini. La storia ebbe molto seguito, ma fu anche molto criticata. Diede un’anima al male che aveva colpito Parigi”.

Un marchio, quello di raccontare i giovani foreign fighters, che Costantini si è portato dietro anche in altre storie comparse soprattutto sul settimanale Pagina99.

Il segreto è “essere dentro agli argomenti”: “Non lavoro quasi mai solo. Uso molto Twitter, dove sono in contatto con molte persone che lavorano su tematiche specifiche. Questo è il bello: l’insieme di persone, il cui nome spesso non è citato, che creano la storia e le danno veridicità”. Un lavoro necessario quanto selettivo, quello della ricerca delle fonti, anche per un giornalista tipico e non sui generis come Costantini.

Al festival del giornalismo culturale partecipa come “narratore grafico”. “Il giornalismo culturale è insolito anche per me”, racconta l’artista, che ha partecipato a molti festival, tra cui due di Internazionale e uno del Guardian. “Sicuramente ci saranno gli ospiti disegnati, con una loro frase che mi colpisce – spiega –, ma i fumetti possono nascere dalle tematiche affrontate, o anche solo dal pubblico che ascolta”.

L’obiettivo è quello di creare un piccolo racconto, una storia, che, anche solo con 20 fogli, possa narrare il festival. “Lo stesso titolo del festival – ricorda Costantini – parla di mille modi per raccontare una storia. Qualcosa mi ispirerà in quei mille modi”.

Su Urbino l’artista non ha mai prodotto niente. Ma alla fine, una promessa riusciamo a strappargliela: racconterà la città e i suoi ossimori, culla del Rinascimento e popolo di studenti.