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La crisi di estetisti e parrucchieri: “Sei su dieci rischiano la chiusura”. Ma a Urbino il lavoro non manca

di DANIELE ERLER

URBINO – A pochi giorni dal Natale è difficile trovare uno spazio nell’agenda di parrucchieri ed estetisti di Urbino. “C’è troppo lavoro, non posso parlare”, dice al Ducato un barbiere in piazza della Repubblica. Mara Olivieri, estetista di via Battisti, è della stessa idea: “Prima di Natale non c’è una pausa”. Eppure il settore dell’acconciatura e dell’estetica è in crisi, anche se girando per Urbino non sembra: in provincia sei saloni su dieci rischiano la chiusura, secondo un’indagine dell’osservatorio Cna e di quello degli “Imprenditori della bellezza”. Colpa di abusivismo, concorrenza sleale e peso del fisco.

In provincia ci sono 1.150 tra saloni di acconciatura e centri di estetica. Di questi, il 60% sono a rischio chiusura, il 30% sopravvivono e solo il 10% dichiarano di essere in crescita. La media dei passaggi annui di un cliente da barbieri e parrucchieri è scesa da dieci nel 2007 a cinque nel 2016. “Tutto questo è causato sicuramente da una diminuzione dei redditi e dei consumi in generale, ma soprattutto da un peso del fisco insopportabile, dalla piaga dell’abusivismo e della concorrenza sleale – dicono alla Cna – c’è chi applica tariffe ben al di sotto dei costi di gestione, utilizzando prodotti di bassa qualità. In alcuni casi possono mettere a rischio la salute della clientela”.

“I problemi ci sono, un po’ come in tutte le attività in questo periodo – dice Luigi Ridolfi, parrucchiere del centro di Urbino – ma non temo l’abusivismo. Perché sì, c’è gente che lavora a casa, ma non dà un servizio di qualità come quello che vogliono i miei clienti. Semmai il vero peso è lo Stato, il fisco che è molto più pesante in Italia rispetto al resto d’Europa”. Lo conferma anche la Cna: “Il nostro osservatorio ha dimostrato che almeno per i primi otto mesi un’impresa di questo settore lavora per pagare le tasse. Gli acconciatori soffrono il carico fiscale aggravato dall’aliquota Iva al 22%. In altri Paesi europei la diminuzione dell’imposta per questo settore, benessere e sanità, ha portato a occupazione e sviluppo”.

Le estetiste hanno anche altri problemi, come spiega Simone Cantarini, avvocato dell’associazione di settore Confestetica. “C’è una legge quadro del 1990 che regolamenta la professione e prevedeva che entro 120 giorni un decreto ministeriale delineasse tecniche e apparecchi da utilizzare. In pieno stile italiano, il decreto è stato pubblicato 21 anni dopo, nel 2011”. Nel frattempo le estetiste hanno continuato a lavorare, il progresso tecnologico ha portato nei saloni anche nuovi macchinari: “Poi la pubblicazione del decreto ha cambiato le carte in tavola – spiega l’avvocato – ci sono apparecchi, molto utilizzati, che all’improvviso le estetiste non potevano più usare: come gli ultrasuoni a bassa frequenza che servono per gli anestetismi dell’adipe”.

A livello nazionale, questo ha significato una riduzione delle quote di mercato e diversi centri estetici hanno dovuto chiudere. In via Raffaello a Urbino, l’estetista Ida Simione dice che questo problema non la riguarda: “Forse ci sono aziende che hanno risentito di questo problema, ma non è il nostro caso, i macchinari che utilizziamo sono tutti in regola con il decreto ministeriale – commenta, facendo eco ai suoi colleghi – qui si lavora tanto, soprattutto prima di Natale”.