di ELEONORA SERAFINO
URBINO – Si dice che dietro ogni grande uomo ci sia una grande donna. Una verità solo parziale nel caso di Giovina Jannello, vedova dello scrittore e poeta urbinate Paolo Volponi. Scomparsa lo scorso 18 gennaio, all’età di 91 anni, infatti, era stata sempre accanto a suo marito. Mai un passo indietro, mai semplice comprimaria di un uomo che ha considerato il suo giudizio sempre insindacabile e imprescindibile.
Era stata amica di Pier Paolo Pasolini. “Spesso aveva conversato con Saul Bellow, in inglese”, racconta Enrico Capodaglio, tra i membri della giuria del Premio Volponi. “Ma nessuno ha mai scoperto quante lingue conoscesse”, aggiunge Massimo Raffaeli, altro membro della giuria, oltre che, insieme con Emanuele Zinato, tra i critici che di più si sono occupati dell’opera dello scrittore. Aveva sfidato le consuetudini del tempo quando giovanissima si era laureata in giurisprudenza e aveva deciso di volare oltreoceano per specializzarsi ad Harvard. Un giorno aveva perfino raccontato di aver incontrato anche William Faulkner che batteva con il bastone sul cofano di un’auto che non sembrava volerlo lasciar passare.
Da tutti ricordata come una donna coltissima ed elegante, da qualche anno aveva lasciato la sua casa a Parco Sempione, a Milano, per vivere a Urbino, nella villa in Via degli Orti, a lungo luogo d’ispirazione per quello che era stato il compagno di quasi quarant’anni di vita. Scelta personalmente da Adriano Olivetti perché fosse sua assistente, proprio quando iniziò a lavorare per quella che in quegli anni era una delle aziende leader nel made in Italy conobbe, per poi sposarlo tre anni dopo, Volponi. Da lui ebbe due figli, Caterina e Roberto, scomparso tragicamente in un incidente aereo a Cuba nel 1989.
Un momento di dolore trasformato – ricorda Raffaeli – “grazie alla sua grande forza e dignità, in un atto di piena costruttività”: la donazione a Palazzo Ducale di una collezione del ‘600, tele di Guido Reni, De Ribera e Battistello Caracciolo.
Massimo Raffaeli racconta di una donna che riportava il suo essere cosmopolita non solo nelle origini. Nata a Tunisi da madre greca e padre italiano, aveva vissuto in Algeria e Grecia, “e aveva considerato sempre la parola ‘frontiera’ estranea”.
“I suoi unici riferimenti nei rapporti personali – continua Raffaeli – erano l’intelligenza e la cultura, riguardo alle quali si è sempre mostrata intransigente. Su queste cose non faceva sconti, nonostante fosse sempre aperta e curiosa dell’alterità”.
Una curiosità e apertura verso il prossimo confermata anche da Peppino Buondonno, tra gli organizzatori del Premio Volponi. “Ho conosciuto Paolo Volponi più di trent’anni fa, per me era un maestro – racconta – fu lui a presentarmi a Urbino sua moglie. Rimasi molto colpito dal fatto che lei fosse molto incuriosita da questo ragazzo nei confronti del quale suo marito aveva espresso simpatia. Mi fece molte domande sull’università, sulla città, sulla politica”.
“Un desiderio di ascolto connaturato”, spiega Enrico Capodaglio. Il critico letterario, legato alla Jannello da un rapporto di stima e amicizia, descrive una persona mai invadente, “assai discreta in campo letterario”, che non ha mai voluto, “né prima né dopo la morte di Volponi, orientare in prima persona le iniziative culturali legate al nome del marito, per una questione di stile e anche di tutela della propria indipendenza”.
“Il suo spirito aristocratico da intellettuale europea si conciliava con un calore umano gentile, in una clemenza verso gli interlocutori, in un sorriso delicatamente affettuoso che ce l’hanno fatta amare”, continua Capodaglio. “E che ci stanno facendo pensare – conclude Buondonno – di dedicare a lei e alla persona meravigliosa che è stata un’iniziativa nell’ambito della prossima edizione del Premio Volponi”.