Smartphone a scuola e foto dei figli sui social. Le regole per la sana ‘convivenza digitale’

di OLGA BIBUS e DANIELE ERLER

URBINO – Un bimbo di pochi mesi sorride in una foto. È in braccio al suo papà mentre allunga la manina per afferrargli il naso. La tenerezza dell’attimo immortalata in uno scatto. Un momento intimo che può diventare pubblico in un istante, quello di un clic. Il piccolo sorride infatti dalla homepage di Facebook di sua mamma. Una giovane ragazza di Urbino a cui piace condividere foto con il suo bambino. Come lei tante altre madri scelgono di pubblicare immagini dei loro figli. Altre invece preferiscono tenere per sé i momenti privati e mostrano il meno possibile i volti dei bambini in rete.

Pubblicare oppure no? Di recente un’ordinanza del Tribunale di Roma ha riacceso il dibattito sull’argomento. Un giudice ha obbligato una mamma a rimuovere dai social immagini del figlio minorenne. Pena una multa da 10.000 euro. È stato il figlio stesso a chiedere tutela ai magistrati dopo aver visto informazioni molto personali e foto finire più volte sul profilo social della madre.

Le mamme urbinati

A Urbino ci sono alcune mamme che condividono la decisione del giudice di Roma ed evitano di rendere riconoscibili i figli in rete. “Anche se siamo i loro genitori e li abbiamo messi al mondo, non siamo in nessun modo proprietari della loro identità”, dice Erika, una giovane mamma di due bimbi di nove e due anni. Erika a volte condivide foto dei suoi due bambini, ma sceglie quasi sempre di coprire il loro volto. “Io non pubblico mai foto di mio figlio. Chi vuole vederlo può farlo di persona”, dice Laura mentre guarda suo figlio di tre anni giocare sulle giostre del centro commerciale Santa Lucia. “Esagerare con le loro foto in rete mettendole come trofei sulla homepage secondo me è una mancanza di rispetto alla loro persona. Anche se sono minori sono comunque delle persone e noi non siamo proprietari della loro identità”, aggiunge Erika. Per Laura invece è una questione di sicurezza: “Non si sa mai a chi vanno queste immagini, non le pubblico sia per una questione di riservatezza che per proteggere il mio bambino”.

Altre mamme urbinati, invece, condividono con più facilità immagini dei loro piccoli. “Mi piace mostrare ai miei amici i bei momenti che passo con mio figlio – dice Serena mamma da pochi mesi – Secondo me ognuno deve essere libero di pubblicare le foto dei propri bambini”. “A me piace mettere sui social le foto”, afferma Silvia. Ma ammette: “Non so se sia giusto che i genitori usino le immagini dei figli e che le diffondano in rete”. Silvia e Serena però assicurano di selezionare ciò che pubblicano. Evitano per esempio di condividere momenti intimi in cui i bambini appaiono svestiti. “Io non condivido mai foto di mio figlio durante il bagnetto oppure quando gli cambio il pannolino”, dice Silvia. “Non c’è nulla di male nel pubblicare le foto dei propri figli, basta farlo nel rispetto della loro dignità”, conclude Serena.

I ragazzi di Urbino

Parlando con gli adolescenti di Urbino, coetanei del ragazzo romano, non sono emerse particolari situazioni di insofferenza verso genitori troppo inclini a diffondere immagini o informazioni personali in rete. Anche se Giulia di 15 anni ammette che in paio di occasioni si è arrabbiata con i genitori perché avevano pubblicato foto a sua insaputa.

Nelle scuole alcune volte sono emerse situazioni di insofferenza. A confermarlo il vice questore Simone Pineschi. Ogni anno la polizia di Urbino organizza incontri con gli studenti per insegnare ai giovani un uso consapevole della rete. “Non ci sono state denunce formali, ma parlando con i ragazzi il discorso è venuto fuori e alcuni si sono lamentati dell’uso che facevano i genitori dei social ”, dice Pineschi.

Il caso – A Urbino ogni anno tre ragazzi vittime di cyberbullismo

Il dirigente scolastico

Negli istituti scolastici si parla da tempo dei pericoli dei social network e, più in larga misura, dell’uso eccessivo degli smartphone. Nel 2007 l’allora ministro dell’istruzione Giuseppe Fioroni aveva inviato alle scuole una circolare per chiedere che l’uso del cellulare fosse vietato. Qualche giorno fa l’attuale ministro Valeria Fedeli ha ribaltato questo punto di vista, condividendo un decalogo per l’utilizzo dei dispositivi mobili a scuola anche a scopo didattico.

Samuele Giombi

Samuele Giombi, dirigente scolastico del Liceo Raffaello a Urbino, conferma che il cellulare nei fatti è già uno strumento utilizzato da molti insegnanti. “L’uso individuale del cellulare durante le lezioni è vietato se non c’è un controllo del docente – spiega Giombi – ma molti insegnanti lo utilizzano nelle loro materie”. Qualche esempio? Il cellulare serve per lo studio delle lingue straniere, per compiti collettivi svolti dai ragazzi su Whatsapp, per la realizzazione di audio in inglese e come alternativa agli atlanti per lo studio della geografia. In una quarta ginnasio viene utilizzata un’app, Itaca Academy, per insegnare la grammatica con alcuni giochi linguistici.

Eppure non tutti gli insegnanti la pensano allo stesso modo. “C’è chi è preoccupato per i possibili eccessi dell’inserimento di questa strumentazione sia a scuola sia poi nella vita degli adolescenti di oggi – dice Giombi – ci sono studi scientifici e neurologici che dicono che un utilizzo precoce e massivo dello strumento informatico può avere delle ricadute in termini di capacità dell’attenzione e sulle capacità di apprendimento”.

La psicologa

In realtà secondo Carmen Belacchi, professore associato di psicologia dello sviluppo e psicologia dell’educazione all’Università di Urbino, “non esistono tecnologie comunicative e avanzate che siano di per sé pericolose o patologiche: quello che può essere deviante è un uso distorto di questi strumenti. Il pericolo c’è quando è tutto lasciato in mano al bambino o al ragazzo”.

Carmen Belacchi

Quello che fa la differenza, secondo la psicologa, è il controllo da parte dei genitori e degli educatori: “Fare il genitore vuol dire fare da sponda e da limite: vietando, regolando, controllando e supportando. Quando c’è un genitore che non controlla e lascia fare, allora c’è un genitore inadeguato e un educatore incapace”. Anche un bambino molto piccolo può divertirsi con un gioco online, secondo la psicologa, “ma solo con l’imposizione di regole, che devono essere diverse in base all’età”.

Un uso scorretto delle nuove tecnologie può portare a patologie: “L’utilizzo può diventare ossessivo e l’ossessione è una patologia psichiatrica, con un comportamento compulsivo che sfugge alla volontarietà – dice la professoressa – Le ossessioni possono manifestarsi anche in comportamenti di dipendenza. Come le droghe che provocano un benessere artificiale, così le nuove dipendenze possono essere anche di tipo tecnologico, con le stesse caratteristiche della dipendenza da altri tipi di sostanze”.

Ma solo se gli individui sono già fragili: “Internet e gli smartphone non portano a patologie se la personalità è già ben strutturata – spiega la psicologa – Il problema è che in età evolutiva la personalità è in strutturazione, i bambini sono tutti fragili”.

L’ordinanza

Partendo dalla vicenda di un ragazzo di 16 anni si è aperto l’intero dibattito sulla questione della pubblicazione delle foto dei minori da parte dei genitori. “Secondo lei una persona che dice di volermi bene può scrivere queste cose?”, chiede il giovane romano al giudice mentre mostra schermate di pagine di social network in cui la madre ha inserito sue fotografie diffondendo sui media i dettagli della loro travagliata storia familiare. Così si legge nell’ordinanza del Tribunale di Roma.

La storia del giovane è complicata: in mezzo c’è una separazione in corso, quella dei genitori. Per ferire l’ex, la madre rendeva spesso pubblici dettagli molto intimi della loro vita. Tanto che il giudice, oltre a vietare alla donna ulteriori pubblicazioni e a ordinarle la rimozione di quelle già esistenti, ha dato il suo consenso per far trasferire all’estero il sedicenne. La “massiccia presenza mediatica della vicenda del minore”, si legge nell’ordinanza, avrebbe turbato il giovane a tal punto da rendere necessario un suo allontanamento dal luogo in cui vive. In quanto “tutti i compagni sarebbero a conoscenza delle sue vicende personali, rese note dalla madre con uso costante e sistematico dei social network”.

Si tratta comunque di un’ordinanza esemplare. “È un bene che ogni tanto vengono fuori questi provvedimenti, aiutano a capire quali sono i limiti per quanto riguarda la diffusione di contenuti in rete”, dice l’avvocato Cristina Di Donfrancesco. “Le foto appartengono al soggetto – continua l’avvocato – anche quando è minore perché anche i più piccoli hanno diritto alla riservatezza”. Secondo la Di Donfrancesco è frequente che una coppia in crisi usi ogni mezzo per distruggere emotivamente l’altro, però “le informazioni e le immagini che riguardano altri devono essere gestiti in maniera meno dannosa possibile, soprattutto quando sono minori”. L’ordinanza serve a rendere i genitori più consapevoli riguardo la diffusione delle foto dei figli in rete.

Questo non significa che d’ora in poi è vietato postare immagini di minorenni sui social. “I genitori possono continuare a pubblicare quando c’è consenso di entrambi e quando non reca un danno al minore”, dice l’avvocato. Bisogna considerare inoltre che rimuovere una foto dalla rete è praticamente impossibile. L’ordinanza impone di oscurare ciò che è stato pubblicato, ma non c’è certezza che qualcun altro non abbia copiato le informazioni e le possa in futuro diffondere nuovamente.

“Su questo punto cerchiamo di insistere molto con i ragazzi – dice Pineschi – ma serve una maggiore consapevolezza anche da parte dei genitori sia per quanto riguarda ciò che pubblicano i figli sia per quanto riguarda loro stessi”. “I genitori dovrebbero mantenere un po’ di riservatezza per quanto riguarda le foto dei figli, non sappiamo dove finiscono le immagini. Oggi una foto può non avere alcun effetto, ma un domani nella vita dello stesso soggetto potrebbe creare un precedente scomodo”, conclude Di Donfrancesco.