di FEDERICA OLIVO
URBINO – Sono sempre di più le persone vittime di insulti sui social network: le offese, che spesso hanno un contenuto razzista o sessista, sono pubblicate su profili personali o su pagine pubbliche. A volte si tratta di immagini offensive, come nel caso dei fotomontaggi fatti con il volto della presidente della Camera, Laura Boldrini, e pubblicati su Facebook.
La diffamazione sui social non risparmia la provincia di Pesaro e Urbino. Sabato 3 febbraio il consigliere all’Inclusione del comune di Fermignano, Othmane Yassine, italo-marocchino, è stato vittima di un post razzista pubblicato su un gruppo Facebook dedicato alla cittadina. Yassine ha deciso di denunciare l’accaduto per evitare “che si crei un conflitto tra italiani e persone di origine straniera che in realtà a Fermignano non c’è mai stato”.
Nel 2017 la Polizia di Urbino ha avuto a che fare con almeno cinque casi di diffamazione sul web e altri reati online.
Reati sul web: la casistica sul territorio
“L’anno scorso ci siamo occupati di un caso di diffamazione su Facebook in cui sia le vittime sia gli autori erano minorenni. In quel caso sul social network erano state fatte anche delle minacce – spiega il vice questore Simone Pineschi, dirigente della Polizia di Urbino – abbiamo poi almeno un altro paio di segnalazioni, alle quali però non è seguita alcuna querela”.
Non solo offese e insulti: i social sono utilizzati anche per costringere le persone a versare denaro, con la minaccia di diffondere materiale sensibile che li riguarda. “Abbiamo registrato 3 o 4 casi di tentata estorsione su Facebook. Persone, che dicevano di essere donne dell’Est, contattavano su Messenger uomini single della zona. Dopo essere riuscite a ottenere delle foto compromettenti, chiedevano loro soldi. Minacciandoli di pubblicare tutto in caso di risposta negativa”, spiega Pineschi. Il fenomeno va avanti da almeno due anni.
C’è stato anche un caso di truffa. “Un uomo era stato contattato da una signora che gli ha chiesto un prestito. Lui ha versato il denaro e la donna è sparita. Indagando, abbiamo scoperto che il server da cui la vittima era stata contattata si trovava in Ucraina – aggiunge il vice questore. “L’altro giorno ho incontrato i ragazzi delle scuole di Fossombrone e ho detto loro di stare attenti a ciò che postano su Facebook, perché ci sono delle organizzazioni criminali che riescono a risalire ai dati personali sul web anche dopo la loro cancellazione. Nel corso dell’incontro, poi, le insegnanti mi hanno segnalato alcuni casi di offese, ingiurie e minacce fatte sul web da minorenni o ai loro danni”.
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Non manca un caso di diffamazione a mezzo stampa: “C’è un’indagine in corso per una frase che è stata scritta su un giornale locale. Si trattava di un’affermazione politica e sono state denunciate tre persone”.
Non sembra, però, che sul territorio ci sia stato un incremento di casi di diffamazione sul web: “Si tratta di fenomeni che registrano un aumento in concomitanza con alcuni casi di cronaca”, spiega Enrica Pederzoli, vice procuratore onorario del Tribunale di Urbino.
Diffamazione su Facebook e altri reati sul web: la difficoltà di risalire all’autore
“Un conto è riuscire a individuare una persona fisica, altra cosa è capire chi si nasconde dietro a un account. Risalire agli autori di una diffamazione sul web non è semplice”, spiega l’ispettore Antonio De Falco della polizia giudiziaria di Pesaro. Proprio per questo i procedimenti per questi reati spesso vengono archiviati. A volte è necessaria una perquisizione: “Accade nei casi più gravi – spiega ancora Pineschi – Si può ricorrere a perquisizione, ad esempio, se nel post diffamatorio pubblicato si fa riferimento a dati sensibili, che riguardano lo stato di salute, le opinioni politiche o le abitudini sessuali, oppure se c’è il rischio che da quel gesto possa avere inizio un atteggiamento persecutorio nei confronti della vittima”.
Diffamazione semplice, aggravata e a mezzo stampa – come orientarsi tra la definizione del codice penale e la giurisprudenza
Con il reato di diffamazione – disciplinato dall’articolo 595 del codice penale – si punisce chi, comunicando con altri, offende la reputazione di una persona che al momento della discussione non è presente. Si tratta di un caso diverso da quello dell’ingiuria – reato attualmente depenalizzato che colpiva chi insultava una persona presente nel momento in cui le offese erano pronunciate – e da quello della calunnia, che consiste nell’accusare qualcuno di un reato.
La diffamazione si configura in maniera aggravata quando l’offesa della reputazione viene fatta “col mezzo della stampa o con qualsiasi altro mezzo di pubblicità”: in questo caso la pena è aumentata perché il messaggio diffamatorio raggiunge un numero maggiore di persone. Quando il magistrato contesta la diffamazione a mezzo stampa “consistente nell’attribuzione di un fatto determinato” è applicabile anche l’articolo 13 della legge sulla stampa (n°47 del 1948), che comporta un ulteriore inasprimento della pena (da 1 a 6 anni di reclusione). Questa disposizione, però, non può essere applicata alla diffamazione via Facebook: secondo la Corte di Cassazione, infatti, il social network non è un mezzo di stampa, ma un mezzo di pubblicità. Salvo nuove interpretazioni giurisprudenziali, quindi, chi è accusato di aver insultato qualcuno pubblicando un post o una foto su Facebook potrà essere giudicato solo in base all’art 595 del codice penale e rischierà da 6 mesi a 3 anni di reclusione o una multa fino a 516 euro.