Urbino, furto, spaccio, estorsione: condannati due giovani. Uno pentito: “Ho sbagliato”

di MATTEO DE RINALDIS

URBINO – Quattordici capi di imputazione, un testimone che non può comparire perché allontanato dall’Italia per motivi di sicurezza. Furto, estorsione e spaccio di droga. La marijuana pagata con giubbotto di pelle e telefono cellulare. E per riscuotere i debiti, in pegno chiedevano automobili. La complicata vicenda processuale si è conclusa oggi con la condanna dei due imputati, C.X. e V.Q., rispettivamente a tre anni e nove mesi (spaccio, furto ed estorsione) e un anno e sei mesi (tentata estorsione). A emettere la sentenza il collegio dei giudici composto dal Presidente del tribunale di Urbino Massimo Di Patria, Paolo Cigliola e Silvia Cucchiella. Il Pubblico ministero Irene Lilliu aveva chiesto per il primo tre anni e otto mesi, due anni e due mesi per il secondo. I fatti risalgono al 2011 e sono avvenuti nell’entroterra di Urbino, tra Sassocorvaro, Piandimeleto e Lunano. Al termine della fase istruttoria, C.X., di origine albanese, ha parlato in maniera spontanea davanti ai giudici: “Grazie per avermi tolto dalla strada”.

Nella fase istruttoria, i giudici hanno acquisito un verbale chiesto dalla pm. Una testimonianza di cinque anni prima rilasciata da un teste che non è potuto comparire in aula perché allontanato dall’Italia per problemi di ordine pubblico. Nel suo racconto, il testimone ha ricostruito le modalità di acquisto e di spaccio dell’imputato albanese, spiegando anche dove questo tenesse la droga, uno sgabuzzino nel palazzo dove abitava, a Piandimeleto. Nonostante l’opposizione del legali di C.X. Adolfo Paoli, i giudici hanno accolto la richiesta della Lilliu: “È una situazione irripetibile e non prevedibile” hanno spiegato i giudici.

Terminata la fase istruttoria, il pubblico ministero ha elencato la lunghissima lista di capi d’imputazione. “Se non ho contato male sono 14” ha detto ironicamente. Durante le indagini, l’accusa ha fatto leva sulle numerose intercettazioni che hanno messo a nudo le attività degli imputati. Le sostanze spacciate erano marijuana e cocaina. In una testimonianza raccolta è stato raccontato come una partita di droga era stata pagata con un telefonino e una giacca di pelle quantificati in 400 euro dallo spacciatore. Ma quando i suoi clienti non erano in grado di pagare, scattavano le minacce. C.X. chiedeva in pegno le macchine o moto che poi riconsegnava quando il debito, intanto cresciuto, veniva saldato. In un caso, l’albanese si era fatto accompagnare da V.Q., napoletano con precedenti per lesioni. “Vengo con quello grosso” diceva il pusher in una telefonata, intercettata, al suo acquirente. Ed è proprio quell’unico tentativo di estorsione che ha portato alla condanna del partenopeo.

Il pentimento: “Ho sbagliato, vi ringrazio per avermi tolto dalla strada”

C.X., 22 anni, ha parlato spontaneamente al termine della fase istruttoria: “Vi ringrazio – ha detto rivolto ai giudici -. Mi avete tolto dalla strada”. Il giovane, molto emozionato durante le dichiarazioni, ha raccontato con le lacrime agli occhi, come è cominciata la sua esperienza nel mondo dello spaccio: “Purtroppo quando hai 16-17 anni non ti rendi conto. Ho visto questo ragazzo con una macchina bellissima, mi ha detto se la volevo anch’io e così ho cominciato pure io. So di aver sbagliato e la mia famiglia non merita questo”. Poi, ha elencato le varie esperienze lavorative, nel tentativo di chiudere per sempre con il passato: “Dopo il diploma ho trovato lavoro in una fabbrica. Quei soldi mi hanno permesso di iscrivermi a un corso di guardia giurata a Roma. Ho fatto esperienze di volontariato con la Croce Rossa e alla stazione dei Carabinieri di Fermignano. Adesso ho un lavoro e voglio solo che questa vicenda finisca presto”. La parola fine l’hanno messa i giudici con la sentenza di condanna.