di ALESSANDRA VITTORI
URBINO – Blocchi di creta che prendono vita. Sono le sculture di Ilario Fioravanti, scultore di Cesena scomparso nel 2014, che dal 2 dicembre al 22 febbraio 2016 animeranno le sale del Castellare di Palazzo Ducale. La mostra ‘Gloria in excelsis Deo’ è stata inaugurata nella ‘casa’ del duca Federico il primo dicembre da Vittorio Sgarbi, assessore alla Cultura del comune di Urbino. Presenti anche il sindaco Maurizio Gambini, la vicesindaco Francesca Crespini e l’architetto Marisa Zattini, curatrice della mostra.
“Abbiamo pensato di inaugurare questo evento all’inizio di dicembre, in pieno clima natalizio, senza che il Natale sia ragione di vergogna o di pudore. Non dobbiamo vergognarci per nulla – ha detto Sgarbi – non dobbiamo pensare che un’altra religione superi la nostra o crei contraddizioni alla nostra. Le religioni dovrebbero parlarsi in qualche modo. Le natività, i presepi, tutto quello che riguarda la vita di Gesù sono un valore universale, stiamo parlando di umanità”.
La mostra è composta da sculture, oltre a quadri e ceramiche, esposti nelle sale del Castellare: si inizia dalle Annunciazioni per passare ai presepi, alle epifanie, ai pastori e infine alle rappresentazioni del buon pastore. È un allestimento molto particolare che accompagna il visitatore, fornendogli così una chiave di lettura.
“Le opere sono accompagnate da alcune frasi – ha spiegato la curatrice Marisa Zattini – che abbiamo selezionato, con l’intenzione di fare di questa mostra un’opera corale. C’è un testo del professor Sgarbi, uno mio, ma anche approfondimenti teologici sulle figure dei Magi, oltre a poesie sul Natale che accompagnano questi soggetti sacri. Le sale del Castellare sono perfette per questo allestimento perché l’artista, nelle sue opere, rilegge il Rinascimento italiano, intrinseco in Palazzo Ducale, in chiave contemporanea”.
“Se guardi negli occhi di un uomo come Fioravanti vedi che natura, umanità e cristianesimo sono la stessa cosa”, ha aggiunto Sgarbi, commentando le opere. “Non si può immaginare un uomo più umano di quest’artista perché, in confronto alle sue opere, tutto il resto sembra artificioso e privo di quell’alito di vita che invece possiamo vedere in queste sculture. Nel maestro c’è l’idea di fare le sculture come si fa il pane, il pane che è qualcosa di quotidiano e che appartiene alla vita degli uomini nella sua assoluta semplicità”.
Fioravanti, di fatto, può essere considerato uno scultore senza tempo: vissuto nel dopoguerra, si caratterizza per uno stile che richiama i grandi del ‘400 o del ‘500, ma al tempo stesso andando sempre alla ricerca di uno stile moderno. “Sembra che l’artista stia creando dalla creta le sue figure – spiega Sgarbi – come una madre che cresce e alleva suo figlio. Un modo di scolpire che ricorda i ‘Prigioni’ di Michelangelo nel loro sforzo di uscire dal blocco di marmo, ma con la differenza che il nostro artista porta a termine la sua opera, non si rifà al ‘non finito’ dell’artista cinquecentesco, ma dà alle sue figure una grandissima umanità, esattamente la stessa che Caravaggio è riuscito a dare alla natura morta esposta alla Pinacoteca Ambrosiana”.
“La sua forza – ha sottolineato ancora Sgarbi – sta proprio nel creare una dimensione umana prima che umanistica. Le sue figure infatti traggono la loro vitalità dall’essere scevre da estetismi e avanguardie. Nell’opera di Fioravanti c’è tutto tranne la finzione, c’è solo verità”. L’energia nelle statue dell’artista sta anche nell’aspetto caricaturale, che lui applica anche ai soggetti sacri, elemento che contribuisce a dare alle figure una dimensione umana.
“Mio fratello era talmente affascinato dal circo che portava con sé un blocco da disegno e riproduceva tutto quello che vedeva – ha ricordato Lucia Fioravanti, sorella dello scultore, ricordando l’amore del fratello per l’arte, inclusa quella circense – Era sorprendente la velocità con cui riusciva a riportare sul foglio tutto ciò che gli passava davanti agli occhi”.