TUTTI PAZZI PER L'E-MAIL di Cinzia Conti

Nelle guerre del passato erano le lettere dal fronte a raccontare la guerra in modo ricco, inconsueto, umano. Erano le care carte attese con impazienza e recapitate dal postino a testimoniare con i loro ritardi gli orrori della trincea e a denunciare con le loro calligrafie incerte i boati delle mine.

Oggi tutto questo non c'è più. O meglio è in secondo piano. La guerra del Kosovo dello scorso anno è stata raccontata a colpi di clic di mouse da qualche navigatore solitario, che testimoniava il suo dolore davanti allo schermo del computer, sperando che i bombardamenti non interropessero il collegamento telefonico, per tanti l'unico "link" rimasto con il resto del mondo.

Parecchi erano i siti serbi a fare informazione di guerra: il giornale Nezavisna Svetlost di Karagujevac indicava le località colpite dalle bombe, o il sito Guerra contro la Jugoslavia che mostrava le immagini del ponte di Trstenik, nella Serbia meridionale, poche ore dopo la sua distruzione oppure pubblicava i consigli di uno specialista, il dottor Nila Kapor Stanulovic, sul modo di affrontare le turbe psicologiche provocate sui bambini dai bombardamenti. C'era chi, all'estero per motivi di lavoro o di studio, usava la Rete per avere notizie dai quotidiani locali on line su eventuali bombardamenti nella propria zona, visto che le linee telefoniche erano spesso sovraccariche. Alcuni siti hanno ospitato testimonianze di abitanti delle citta' bombardate, con racconti di devastazioni e appelli di soccorso. Altri condannavano la Nato con vignette satiriche e denunce, oppure indicavano come far giungere aiuti sanitari in Jugoslavia o addirittura come installare virus informatici in siti governativi statunitensi. Il sito del Serbian Unity Congress dalla sua sede negli Usa invitava a fare telefonate di protesta alla Casa Bianca o a firmare una petizione contro la ''guerra di Clinton''.

Mentre le bombe a mano a mano paralizzavano le centrali elettriche serbe, Internet, creatura tecnologica americana nata per la guerra, manteneva le comunicazioni tra le persone, specialmente quando non c'erano soldi sufficienti per il telefono o quando non funzionava più la posta. Certo la posta elettronica è più asettica, più impersonale di una lettera, ma arriva nello stesso istante in cui si preme il tasto del mouse e può contenere anche allegati audio e video. Inoltre quando la comunità jugoslava computerizzata (universitari, ricercatori, hacker, professionisti) ha saputo di siti Internet, catene radiotelevisive e giornali disposti a pubblicare la posta elettronica, ha cominciato una sorta di catena di sant'Antonio telematica per denunciare l'orrore della guerra.

E-mail dal Kosovo: per la prima volta in una guerra la posta su Internet ha battuto i mass media nel raccontare il clima di terrore nella regione sotto assedio ed è diventato un indispensabile mezzo di informazione per le comunità balcaniche disperse oltre-oceano. Sulle pagine del Corriere della Sera, ogni giorno la vita quotidiana di un paese straziato dalla guerra viene raccontato per la prima volta tramite la Rete con i messaggi di posta elettronica che cittadini comuni di Belgrado e del resto della Jugoslavia inviano a amici, colleghi, parenti nel resto del mondo. Eccone alcuni:

"Ho bisogno di scrivere per sfogarmi e per avere almeno la sensazione di fare qualcosa per mia mamma, mio papà e mia sorella che si trovano sotto le bombe della Nato. Mi sembra di impazzire quando penso a loro. Il regime di Milosevic è colpevole. Ma anche le vostre tv, cari amici americani, sono piene di errori e, a volte, anche di ottusa demagogia. Per favore, prendetevi un po' di tempo per ascoltare anche la voce dell'altra parte". Jelena Teodorovic, ricercatrice a Los Angeles.

"Oggi è tornata a funzionare l'e-mail, in compenso non ci sono più sigarette e le bombe si fanno ogni giorno più fitte. Guardando indietro, mi accorgo che questi bombardamenti sono solo il gran disastro finale di dieci anni di disastri. dieci anni in cui siamo rimasti in colpevole silenzio". Branko Komadina, dirigente di un'organizzazione umanitaria a Kikinda.

"Abbiamo problemi con i collegamenti telefonici: siamo assaliti dalla psicosi del telefono. A ogni attacco, chiamiamo i parenti per vedere come stanno, ma le nostre centrali telefoniche sono troppo vecchie per reggere a tutte queste chiamate". Petar Grujic, docente di fisica a Zemun.

"Questo pomeriggio sto continuando a scrivere e-mail ai miei amici, ringraziandoli per la loro preoccupazione. La maggior parte sono persone che ivono in tutta l'Europa balcanica e in Russia. ma i miei amici che vivono in europa occidentale non mi scrivono, né mi inviano e-mail. comunque li capisco: anch'io durante la guerra mi vergognavo a chiamare i miei amici a Sarjevo. non avrei saputo che cosa dire loro: continuavo a pensarci e ripensarci, ma non ho mai osato chiamare". Milena Dragicevic Sesic, docente di filosofia.

"Internet mi permette di parlare dal pulpito della mia tastiera. preferirei dedicarmi alla vita monastica, al silenzio, alla preghiera. Ma non posso chiudere i miei occhi davanti a quello che sta succedendo". Sava Jancic, monaco ortodossonel monastero Decani in Kosovo.

"Ho saputo della pace quando un'amica italiana mi ha scritto un'e-mail: "Peace". Non sono ancora sicuro che sia vero, ma non sono mai stato così felice in vita mia". Dragan Isailovic, studente di ingegneria.

"Questa è la mia ultima e-mail. Forse non ce ne sarà più bisogno. Mi sono lanciato a scrivere della mia vita qui perché tutto è surreale. Vedevo attorno a me le persone cambiare. ho cominciato a scrivere per poter controllare la mia paura, per permettere a me stesso di sfogare l'indignazione per un paese in cui ho passato la metà della mia vita". Alex Bogojevic, fisico di Belgrado.