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Cinque
anni insieme ai burattinai. Tanto impegno, e molte soddisfazioni.
Si accendono gli occhi a Gabriella Gallo- psicologa – mentre
parla dei suoi “ragazzi”
Qual è il quadro clinico dei burattinai?
Sono persone con gravi patologie psichiatriche. Seguiti per diversi
anni dal Centro di salute mentale. Alcuni di loro erano in manicomio,
prima della legge Basaglia. Altri sono casi cronici e soffrono di
schizofrenia.
L’esperienza dei burattini li ha aiutati a stare meglio?
Hanno aumentato la capacità di concentrazione e la memoria.
Ma l’elemento più importante è senz’altro
il gruppo. Sono usciti dal loro isolamento comunicando con i loro
compagni.
Arte e terapia possono convivere?
Il progetto ha fatto incontrare questi due mondi. Si sono contaminati
l’uno con l’altro, mantenendo però chiare le
aree di competenza.
In che modo?
Durante il lavoro dei docenti artistici, noi (psicologi e operatori
sanitari) non interferiamo. Abbiamo imparato a fidarci. Siamo solo
di supporto.
Supporto?
Nel caso si creino tensioni tra il gruppo o con i docenti.
Ed è successo?
Si, soprattutto all’inizio. Per questo in parallelo ai corsi
artistici, una volta alla settimana mi trovo con i ragazzi per “elaborare
l’esperienza”. Si verifica l’andamento della formazione.
Come è cambiato il gruppo nel corso degli anni?
La prima fase è stata “simbiotica”. Avevano bisogno
di un punto di riferimento. Io fungevo da mamma. Poi sono diventati
più indipendenti. E la seconda fase è stata più
una condivisione dei momenti di successo.
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