“A noi 2 euro, a Parigi 300” una scarpa dalla fame al lusso


Pubblicato il 10/04/2012                          
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NAPOLI – “I don mai fisc sono il nostro problema. E’ per colpa loro che ci è rimasto poco da lavorare e facciamo la fame.” “Signora, chi sono i don mai fisc”? “I don mai fisc sono i cinesi. Così si chiamano qua.”

“Faccia gialla” a Napoli è un modo affettuoso per chiamare san Gennaro. La sua statua più famosa, infatti, è in argento dorato. E forse è per rispetto verso il patrono che i napoletani del rione Sanità hanno inventato il don mai fisc per riferirsi ai cinesi. Così li chiama anche la signora Lucia, un’artigiana delle scarpe.

“Lavorano di notte, non fanno 10-15 paia di scarpe o stivali al giorno come noi. Ne fanno 100-200. E poi sono pagati poco: se a noi danno 2 euro per un paio di scarpe, i cinesi le fanno per 50 centesimi e in poco tempo. E’ ovvio che un fabbricante vada da loro. Ma la differenza è che noi facciamo un prodotto di qualità, mentre loro fanno delle ‘ciabatte’”.

Lucia entra nel ‘basso’di Maria e Raffaelina, due amiche che cuciono come lei scarpe e stivali da donna in via Fontanelle. Qui dormono, mangiano e lavorano per 12-13 ore al giorno in una stanza lunga tre passi e larga quattro, con mura scalcinate piene di scritte tra il sacro e il profano, scarpe e buste appese ai chiodi e telai per la cucitura sui tavoli.

I nostri mariti sono disoccupati - racconta Maria -  e noi non riusciamo a tirare avanti. Prima lavoravamo in fabbrica ed eravamo contente, poi le fabbriche hanno chiuso e ci siamo guadagnate il pane in casa. Ma ora anche qui rischiamo di dover chiudere per la crisi”.

Raffaelina spiega anche chi commissiona loro le scarpe e dove vengono poi vendute: “Arrivano dei passanti dalle fabbriche e ci dicono il tipo e la quantità di paia da realizzare”. Dal suo ‘basso’  le calzature prendono strade impensabili. Il prodotto di questa manifattura se ne va infatti in giro per il mondo, a Parigi, Vienna, ma arriva anche nelle boutique di corso Garibaldi, vicino alla stazione di Napoli: “Le ho viste in una vetrina, non sono sicura ma sembravano proprio quelle fatte da noi. Il fatto è che non sappiamo quale marchio le acquista alla fine delle fabbricazione, dopo la fase di montaggio. L’unica cosa sicura è che arrivano a costare 250-300 euro nei negozi, mentre noi guadagniamo 1-2 euro a paia.

“Facciamo questo mestiere da quando eravamo bambine. Andavamo a scuola e lavoravamo al pomeriggio con i nostri genitori perché questo è un lavoro che si tramanda” spiega Raffaelina.

Le amiche si aiutano a vicenda. Se Lucia non riceve ordinazioni, Maria e Raffaelina la chiamano a lavorare per non lasciarla ‘a spasso’. E viceversa. Si tratta di un modello produttivo sempre più raro in giro per il mondo, ma che al rione Sanità sopravvive.  L’altra faccia della medaglia dell’illegalità.