L’informazione italiana non è indipendente. E’ percezione condivisa, parere degli addetti ai lavori e sentenza dei lettori. Che comprano sempre meno quotidiani. Gli assetti delle proprietà, il ruolo dell’opinione pubblica e il comportamento dei giornalisti sono le variabili necessarie per capire se e come sia possibile scavalcare gli ostacoli che conducono all’indipendenza e comprendere gli orizzonti del giornalismo italiano.
Il progetto “Einaudi-Albertini per l’indipendenza dei media” raccoglie anche questa sfida, quella di far luce – attraverso esperienze e dibattiti – sulle condizioni di salute del giornalismo, sulle possibilità di un’autonomia che appare ancora lontana. Si comincia lunedì con una serie di appuntamenti che si terranno al Nuovo Magistero dell’ateneo urbinate.
“I giornali – spiega il professor Alberto Papuzzi - continuano ad appartenere a gruppi industriali e banche”. E questo pare essere il primo serio problema. Se il modello italiano assegna la proprietà dei gruppi editoriali ad un patto di sindacato formato da banche ed industriali è più probabile che tali gruppi si occupino di vendere pubblicità agli inserzionisti piuttosto che notizie ai lettori. L’influenza degli interessi economici degli assetti proprietari ha un peso eccessivo sull’elaborazione del giornale come sulla scelta del direttore.
Il professor Papuzzi è giornalista e autore di uno tra i libri di testo più utilizzati negli atenei italiani: “Professione giornalista”. Il suo è lo sguardo dello storico che non può fare a meno di osservare che nel nostro Paese non esiste quel vallo che le redazioni anglosassoni riescono a mettere fra sé e la proprietà. Non c’è insomma l’indispensabile barriera che dovrebbe separare la newsroom, la fabbrica delle notizie, dall’editore, o comunque da chi mette il denaro.
“Da questo punto di vista – chiarisce Papuzzi - ci sono diversi modelli a cui tendere per evitare la contaminazione tra proprietà e giornalisti. L’esempio più suggestivo è senza dubbio quello della cooperativa adottato a Le Monde. Si tratta di una realtà che presenta alcune problematiche di carattere economico, ma senza dubbio resta l’ipotesi più affascinante dal punto di vista dell’indipendenza di chi scrive”.
Del resto i numeri indicano una forte sfiducia nell’informazione da parte dei cittadini, soprattutto nel settore della carta stampata che continua a perdere lettori. L’impressione che l’opinione pubblica non riesca a formarsi è solo la conseguenza di un clima di generale distacco che non dipende unicamente dalle ingerenze delle varie proprietà nei giornali. I primi a soccombere sono infatti i quotidiani di partito: “La fine dell’idea di appartenenza nella politica è la causa della crisi di questi giornali, che sono diventati per primi l’anello debole del sistema editoriale”.
Dal dopoguerra ad oggi ci sono stati fenomeni che hanno mutato diverse volte il quadro delle proprietà. Dalla politica agli industriali sino al mondo della finanza. “Il periodo più felice per l’indipendenza dei giornalisti è sostanzialmente coinciso con i cicli di espansione dei giornali. In una fase di contrazione, come quella odierna, è più difficile che i giornalisti affermino il proprio ruolo”. Anche le nuove tecnologie, secondo Papuzzi, giocano a sfavore dell’indipendenza, perché “non sono ancora padroneggiate” dalla maggior parte dei redattori.
Quella della proprietà non è comunque l’unica variabile da tenere in considerazione: “Nel giornalismo anglo-americano c’è una grande tradizione di autonomia che proviene proprio da parte della stessa categoria dei giornalisti. La chiave è proprio questa: deve essere il giornalista a difendere la sua indipendenza. In Italia siamo chiaramente molto lontani da questa prospettiva”.
Papuzzi opera una sorta di rivoluzione copernicana della problematica, ribaltando di fatto il ruolo del giornalista: da oggetto che subisce l’azione della proprietà a soggetto che propone la linea: “La capacità dei giornali di fare informazione secondo la logica dell’articolo 21 va riportata alla volontà del singolo giornalista di non tradire il suo ruolo e la sua missione. Questo rimane anche l’aspetto più affascinante del mestiere. Ciò che conta è la capacità del giornalista di essere fedele alla sua missione e di saper creare competizione fra le pubbliche opinioni”.
Servizi collegati:
Progetto Einaudi-Albertini
La fotogalleria dell’evento
Lo speciale televisivo
Diretta web della prima giornata
Il mini-sito con le schede dei partecipanti
Il video di Daniele Manca (Corriere della Sera)
Guida alla rete:
Università degli Studi di Urbino
Istituto per la formazione al giornalismo di Urbino