Gli inserzionisti rischiano di cannibalizzare il giornalismo turistico. Nelle riviste di viaggi è tradizionalmente difficile distinguere tra la comunicazione pubblicitaria e l’informazione giornalistica. L’Ordine dei giornalisti della Lombardia sulla questione lavora da tempo: con procedure disciplinari contro le pubblicazioni del settore, la creazione di un Osservatorio e, qualche settimana fa, con l’approvazione di un “Codice di comportamento”, che dovrebberegolamentare il rapporto tra riviste di viaggi e pubblicità.
Si tratta del primo codice deontologico in questo settore e il suo varo è stato accolto da critiche: sia dalle associazioni dei consumatori come il Codacons (che pure negli anni passati avevano richiesto delle norme), sia, per ragioni diverse, i responsabili delle principali riviste di viaggi italiane.
Crisi di vendite e credibilità
Le principali riviste che si occupano di turismo in Italia sono 15 e non se la passano bene. Il numero complessivo di copie vendute mensilmente, sommando i dati Ads (“Accertamenti diffusione stampa”), riferiti a dicembre 2008, non supera però la quota di 800 mila. Quasi 200 mila copie in meno vendute rispetto all’anno precedente. Secondo l’Ordine dei giornalisti della Lombardia, la crisi dell’editoria turistica non è dovuta soltanto alla recessione generale e non è pienamente omologabile alle difficoltà dei giornali generalisti. C’è un fattore in più: le pressioni degli inserzionisti.
Letizia Gonzales, presidente dell’Ordine lombardo, arriva a parlare di “sistema ricattatorio innescato dagli inserzionisti”, denunciando la “sempre maggiore invadenza” di questi ultimi anni: “La credibilità di alcuni giornali ne è risultata minata: viene infatti condizionato il libero agire dei giornalisti e generata confusione tra i lettori”.
Nel 2008 l’Ordine ha avviato una procedura disciplinare contro alcune riviste per comportamento deontologicamente scorretto. “Non mantenevano ben separata l’informazione editoriale da quella promozionale”, dice la presidente Gonzales . Impossibile distinguere la pubblicità a pagamento dagli articoli giornalistici.
Il 21 gennaio il Consiglio regionale ha deliberato, primo e unico caso in Italia, il “Codice di comportamento del giornalismo turistico e di viaggi”. Un decalogo che impone di rendere esplicite le sponsorizzazioni all’interno degli articoli e di tutti gli spazi extra pubblicitari. Il Codice non avrà un valore vincolante, ma diventerà uno strumento ufficiale nell’interpretazione delle norme deontologiche.
“Sono stati i giornali stessi – spiega Gonzales – a chiederci regole che fossero le più precise possibili Oramai sono pochi gli editori che sostengono le spese per i reportage e i servizi. Nella maggior parte dei casi si ricorre agli inserzionisti o all’abilità dei singoli collaboratori nel trovare da soli sostegni per i viaggi. Quasi sempre gli articoli sono intermente spesati da sponsor”.
Le nuove norme
Il codice prevede, tra l’altro:
- Obbligo di esplicitare, nell’articolo, l’ente che ha sponsorizzato il viaggio: il lettore deve essere interamente informato sui condizionamenti materiali intervenuti nella realizzazione del servizio. In mezzo ai giudizi su alberghi, voli e ristoranti, il giornalista dovrà specificare anche chi pagato pernottamenti, trasporti e pranzi.
- Forti limiti alla pubblicità indiretta. Se una rivista realizza uno speciale in collaborazione con sponsor, questi spazi informativi devono distinguersi nell’impaginazione grafica dal resto del giornale. La pubblicità deve essere facilmente riconoscibile.
- I giornalisti che partecipano ai viaggi organizzati da allo scopo di pubblicizzare strutture e siti turistici, non possono fermarsi oltre la scadenza del soggiorno e non sono poi obbligati a scrivere un articolo.
Il Codacons non ci sta
Il Codacons, che tre anni fa aveva inviato un esposto su questi argomenti all’Ordine nazionale, non è però soddisfatto del nuovo codice: invece di rimediare a un problema ne crea un altro. Ad avviso dell’associazione dei consumatori, il decalogo dell’Odg lombardo legittima di fatto la sponsorizzazione privata dell’informazione turistica. Gli sponsor potranno prezzolare i giornalisti, i quali si limiteranno soltanto a ringraziare pubblicamente, eludendo l’art. 1 della “Carta dei doveri del giornalista”, che proibisce di accettare “rimborsi spese, elargizioni, vacanze gratuite, trasferte, inviti a viaggi”.
“Si tratta di un pericoloso precedente – dice Carlo Renzi, presidente Codacons – che, peraltro, se venisse esteso ad altri settori, potrebbe portare giornalisti parlamentari a essere ospiti tutto l’anno a Roma a spese di qualche membro del Governo o inviati che devono seguire un processo a essere spesati dall´imputato”. Per questo, il Codacons ha presentato un ricorso al Consiglio nazionale dell’Ordine dei giornalisti.
Argomentazioni che, secondo Letizia Gonzales, non tengono conto di come le cose si sono evolute. “La carta dei doveri è del 1963, nel frattempo il rapporto tra inserzionisti e giornalisti si è fatto molto più complesso. C’era bisogno di ragionare sull’esistente e impedire la prosecuzione di rapporti perversi con i privati. Il Codacons è in ritardo di 15 anni”.
“Mi fanno tenerezza sia l’idea di Codice di comportamento che la polemica del Codacons”, commenta sarcastico Alberto Solenghi, consulente editoriale di riviste turistiche di successo come “Weekend e Viaggi” e “Turisti per caso” “Il problema è strutturale. Si è smesso di fare giornali pensati per il lettore è si è cominciato a farli indirizzati soltanto al cliente pubblicitario”.
E’ veramente così?
La redazione del supplemento di informazione turistica di Repubblica non accetta viaggi sponsorizzati da enti privati. Ammette però Roberto Caramelli, caporedattore dei “Viaggi di Repubblica, che la maggior parte della rivista è realizzata da collaboratori per i quali “la regola non vale, si organizzano come possono”. “Condivido – dice Caramelli – il principio del Codice. Sia chiaro però che nel rapporto con gli sponsor privati il giornalista utilizza innanzitutto il buon senso. Se si trova male con una linea aerea che lo fa volare gratis, sicuramente non la elogerà. Al massimo si limiterà a Silvestro Serra, direttore di “Gente Viaggi” dice di aver già anticipato le norme del decalogo: nel suo giornale applica il principio del “truth in travel” (resoconto rigorosamente veritiero dell’esperienza del viaggio): “A Gente Viaggi – aggiunge – gli inserzionisti hanno voce in capitolo solo sugli spazi pubblicitari”. Ma c’è anche chi invita al realismo e accusa indirettamente il nuovo codice di avere intenzioni utopiche.
Luciano Di Pietro, direttore di “Bell’Italia” e “Bell’Europa, dice di non pensare “né bene né male” del codice, ma aggiunge: “Sembrano i soliti ideali difficilmente perseguibili. L’intenzione di fare un’informazione turistica completamente a spese dell’editore mi pare completamente utopico. Le mie riviste, comunque, provano a lavorare in assoluta autonomia”.
Gli fa eco Mariella Grossi, vicedirettrice di “Dove” mensile di viaggi del Corriere della Sera, che pure dichiara che il suo giornale si tiene alla larga dalle intrusioni degli inserzionisti (“Al massimo chiediamo aiuto agli enti pubblici del turismo”). “E’ inutile – dice – fare i duri e puri. Se poi alla fine bisogna fare i conti”.
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