Aprire gli occhi, uscire dall’incanto nel quale viviamo. A questo serve l’utopia. Non un modello da applicare alla realtà concreta e che nella storia ha generato totalitarismi feroci. Pietro Del Soldà, studioso esperto di Platone e collaboratore di Rai Radio3, propone per il tema “Utopia e filosofia”, una lettura contemporanea del filosofo ateniese, per alcuni il primo grande utopista. Una visione che affronta l’individualismo e le relazioni sociali, “Il noi che io sono” e il concetto di atopia come contrapposizione “assurda” tra individuo e collettività.
C’è una spinta positiva che l’utopia può dare a un mondo che si trova a fronteggiare sfide sempre più grandi? Oppure l’utopia allontana solo le coscienze dalla percezione reale dei problemi e dalle loro soluzioni?
L’utopia è utile nella misura in cui è una spinta propulsiva per aprire gli occhi, uscire dall’incanto nel quale siamo costretti, e spingerci a essere maggiormente coscienti della nostra natura, che è una natura plurale, di relazioni. Noi invece siamo spesso convinti di essere degli atomi che vivono la relazione come qualcosa di secondario.
L’utopia può essere pericolosa quando viene invece considerata, come è successo spesso nella storia moderna, come un modello di perfezione da applicare alla realtà concreta. Questa è stata la matrice di tanti totalitarismi e anche forse il fallimento di tante rivoluzioni che avevano acceso speranze nei popoli.
Platone è davvero il padre di tutti gli utopisti?
Così l’hanno inteso alcuni dei suoi critici autorevoli che vedono nella città ideale disegnata da Platone il primo modello di un assolutismo politico che nella storia moderna ha provocato grandi danni. Io credo al contrario che la spinta di Platone non porti verso questo tipo di politica ideale quanto piuttosto sia un modo diverso di relazionarsi al prossimo che non si può raccontare in una teoria astratta. Platone infatti utilizza la sua scrittura e soprattutto la figura di Socrate per sospingere i propri lettori a un modo di essere autenticamente politico in cui non siano più in contrasto il bene comune e la mia felicità di singolo, la giustizia delle leggi e le mie pulsioni, i miei desideri. La politica vera verso cui Platone sospinge il lettore non è una città ideale da costruire ma è un modo di essere concreto: vivere in una costante coincidenza dell’individuale e del collettivo, dei miei desideri più privati e dell’ordine politico della città in cui mi trovo ad abitare.
Atopia: si contrappone all’utopia o è parte di essa? Se ne riscontrano i segni nel contemporaneo?
È la parola che meglio definisce la figura di Socrate e di Platone. La possiamo tradurre con stranezza, assurdità, spaesamento, paradossalità. Socrate è l’uomo che incarna quella strana e vertiginosa coincidenza tra individuale e collettivo, capisce che la propria felicità coincide con la propria giustizia, non c’è più contrasto fra leggi della città e desideri individuali.
Noi lettori contemporanei di Platone possiamo utilizzare questi scritti cercando di riportarli alla nostra vita quotidiana. Come Socrate vive tutta la sua vita alla ricerca di un dialogo con il prossimo, anche noi possiamo prendere coscienza di quello che siamo veramente non più identificandoci in un Io chiuso in se stesso e separato dalla città in cui vive, che pensa alle proprie esigenze individuali, ma in esseri plurali. Dobbiamo diventare un “Noi che io sono”, di cui non si dà dottrina ma al quale si può accedere solo vivendo.
L’opera di Platone non dà ricette ma spinte. Nel contemporaneo è sempre possibile operare quel disorientamento e smettere di identificarsi con il proprio ruolo sociale, con l’identità professionale di studente o di figlio o di genitore e cercare di capire che siamo qualcosa di più: siamo in costante relazione con l’altro e su questo dobbiamo costruire la nostra felicità e la nostra vita quotidiana.