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Italia: il paese dei giornalisti invisibili

di    -    Pubblicato il 27/01/2012                 
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In Italia c’è una divisione che si può quasi toccare tra il giornalismo delle tessere e il giornalismo reale. Sulla carta siamo il Paese con più giornalisti di tutta Europa. Sono 110 mila, tra pubblicisti e professionisti, gli iscritti all’Ordine. Ma questo numero è, appunto, soltanto sulla carta.

GIORNALISTI FANTASMA. Nel 2010 solo in 58 mila hanno versato i contributi obbligatori: in altre parole solo la metà dei giornalisti italiani ha lavorato regolarmente nel corso dell’anno (questa cifra include sia chi è assunto in redazione e paga i contributi all’Inpgi, sia i precari, i co.co.co e tutti gli altri collaboratori che sono iscritti alla gestione separata dell’Inpgi, l’Inpgi 2).

Gli altri? Delle tre l’una: o non sanno che l’iscrizione alla previdenza è obbligatoria, o sono evasori contributivi oppure hanno cambiato mestiere. “Vista la natura dell’industria dei media in Italia è probabile che nella grande maggioranza dei casi si tratti di quest’ultima ipotesi”, spiega Guido Besana, componente della giunta esecutiva della Fnsi, il sindacato unico dei giornalisti. Sono giornalisti trasparenti per il mercato del lavoro: giornalisti fantasma.

LA SITUAZIONE IN EUROPA. Se andiamo a guardare la situazione in Europa viene da pensare che Besana abbia ragione: nel nostro Paese non c’è spazio per tutti. In Italia c’è un giornalista ogni 545 abitanti. In Inghilterra, secondo le stime più recenti, sono 40 mila (cioè un giornalista ogni 1.645 abitanti).

Situazione simile in Francia dove la circolazione di quotidiani e altri media è in linea con quella del Regno Unito e la popolazione è la stessa: ci sono appena 37.400 giornalisti (un giornalista ogni 1.737 abitanti).

Cifre paragonabili a quelle tedesche: la Germania, con circa venti milioni di abitanti in più rispetto a Francia e Regno Unito, ha 48 mila giornalisti a tempo pieno (ai quali però vanno aggiunti circa 25 mila freelance: in tutto un giornalista ogni 1.176 abitanti).

TROPPI GIORNALISTI IN UN PICCOLO MERCATO. Non bastano questi dati per dire che in Italia ci sono troppi giornalisti. Una statistica ancora più indicativa è il rapporto tra giornalisti e copie di giornali vendute giornalmente.

Poca sorpresa: l’Italia è in fondo a questa classifica. Secondo una ricerca Ocse del 2010 in Germania ogni 100 mila copie di quotidiani o periodici ci sono 75 giornalisti di carta stampata. In Francia per vendere lo stesso numero di copie ne bastano 72. In Italia ne occorrono ben 127.

Guido Besana, delegato della Giunta esecutiva della Fnsi

Sono numeri che sarebbero giustificati se gli italiani fossero un popolo affamato di notizie. Ma non è così: anche nella classifica di diffusione dei periodici l’Italia è il fanalino di coda. In Germania ogni mille abitanti si vendono 244 giornali al giorno, in Francia 117. Nell’Italia delle penne solo 88.

LA MOLTIPLICAZIONE DELLE TESSERE. I giornalisti in Italia sono due volte il numero che il mercato dei media può assorbire. Metà di loro sono degli invisibili: giornalisti soltanto perché conservano ancora la tessera. Ma non c’è una spiegazione che metta tutti d’accordo sul perché siamo arrivati a questa situazione.

Secondo Besana la causa potrebbe essere il funzionamento dell’Ordine dei giornalisti. Non è detto, dice il sindacalista, che gli Ordini regionali abbiano interesse a usare lo strumento di cui sono dotati per sfoltire quegli iscritti che, per un motivo per l’altro, non esercitano più la professione: la revisione degli elenchi.

“Dico una cattiveria – premette il sindacalista – per un Ordine regionale avere tanti iscritti vuol dire avere tante quote. Se non svolgo attività giornalistica, per l’Ordine non sono un costo, ma una quota che arriva”.

Non solo: “Avere tanti iscritti significa avere maggior peso nel Consiglio nazionale dell’Ordine (Cnog)”. Il Consiglio è eletto su base proporzionale: più iscritti ha un Ordine regionale, più consiglieri può mandare al Cnog. “Ci sono stati Ordini regionali – continua Besana – che hanno pensato che fosse importante fare il massimo numero di iscritti”.

Enzo Iacopino, presidente del Consiglio nazionale dell'Ordine dei giornalisti

IACOPINO: LA COLPA È DELLA LEGGE. Non è d’accordo Enzo Iacopino, presidente del Consiglio nazionale dell’Ordine. “Questa è demagogia parolaia – ha dichiarato – di chi, soprattutto nel sindacato, è abituato a dare giudizi senza conoscere i fatti. Quelli che fanno questi discorsi nel sindacato dovrebbero occuparsi del perché i ragazzi vengono sfruttati all’interno dei giornali nell’indifferenza dei Cdr e a volte con il loro silenzio e la loro complicità”.

Il problema secondo Iacopino è tutto nella legge che istituisce l’Ordine. “È una legge antica che prevede una procedura per diventare giornalisti. L’Ordine non ha discrezionalità quando qualcuno rispetta i parametri per ottenere l’iscrizione”.

E sulle revisioni: “Possono esserci ritardi in alcuni casi. Certe realtà, come Lazio e Lombardia, possono essere più severe di altre, ma che il problema degli iscritti sia legato a questo è falso”.

Il margine nel quale si possono fare queste revisioni, poi, è ridotto. Dice il presidente: “Dopo quindici anni di iscrizione all’elenco dei pubblicisti non è possibile essere cancellati. Fino a che questa norma è nella legge noi la dobbiamo rispettare”.

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4 commenti to “Italia: il paese dei giornalisti invisibili”

  1. […] Il timore era che la riforma falcidiasse con raffiche di licenziamenti le redazioni dei principali giornali e media. Redazioni che, diciamocelo, un po’ troppo piene lo sono davvero, rispetto ad altri paesi: lo abbiamo scritto qui. […]

  2. Journalist scrive:

    Senza contare che un Giornalista inglese ha davanti a se un mercato talmente vasto che è impossibile rimanere disoccupato. Idem per un giornalista Francese che grazie alle colonie ed ex-colonie francesi nel mondo, ha davanti a se un mercato non vasto come quello inglese ma quasi. In Italia i Giornalisti, in ptratica,si dividono in Giornalisti e non Giornalisti: Ammen!!!

  3. All’inizio dell’articolo leggo <> . Però per esempio facendo una semplice ricerca in google, si trova questo link dell’Odg Lombardia http://www.odg.mi.it/node/30702 che dice: 2) Non è obbligato all’iscrizione chi effettua cessioni di diritti d’autore.
    Possono essere considerate tali esclusivamente quelle prestazioni che
    esplicitamente sono regolate tra le parti (azienda editoriale e
    giornalista) come cessione del diritto d’autore, e che come tali sono
    soggette all’imposizione Irpef. La cessione dei diritti d’autore, se
    effettuata direttamente dall’autore stesso, è esente da Iva ed in sede
    di dichiarazione dei redditi deve essere compilata nella sezione II del
    quadro E (in apposito rigo, differente da quello di cui all’ipotesi di
    collaborazione coordinata e continuativa) con l’indicazione dei
    compensi lordi effettivamente percepiti e dai quali viene detratta una
    percentuale forfetaria a titolo di riconoscimento delle spese sostenute.

    Anche in questo caso non è previsto obbligo (né possibilità) di iscrizione ad alcuna forma di previdenza”.

    Quindi, a meno che questa ulteriore categoria di colleghi sia trascurabile, me incluso, la chiave di lettura della statistica fornita dall’articolo è falsa, e andrebbe riscritto.

    Distinti saluti,
    Paolo Maria Addabbo

  4. riguardo al precedente commento, noto che nel modulo dei commenti non si riesce a incollare una frase dell’articolo. Quindi, per la comprensione piena del mio commento, la frase che sarebbe andata nei caporali recita, non testualmente: solo la metà dei giornalisti hanno lavorato in regola in Italia, avendo versato i contributi a Inpi o Inpgi 2 .