Foto del cadavere di Sarah Scazzi, volgarità e aspetti intimi della vita di Melania Rea, tutto mostrato e urlato senza alcuna reticenza. Secondo l’ordine dei giornalisti una delle ragioni dello scadimento della qualità del giornalismo sarebbe la fragilità dei giornalisti precari.
Durante la presentazione della terza edizione del volume “Privacy e giornalismo“, curata da Mauro Paissan, discutendo sul rapporto tra libertà di informazione e tutela della dignità delle persone, è stato messo al centro del dibattito il lavoro dei giornalisti precari e la loro condizione di “debolezza” rispetto a chiunque altro faccia parte della catena produttiva dell’informazione.
Per Enzo Iacopino, presidente dell’ordine dei giornalisti, la precarizzazione rischia di abbattere i livelli di deontologia perchè facilmente soggetta a ricatto. Sempre più spesso a trovare i lati più intimi di un fatto di cronaca viene mandato un collaboratore che ha più difficoltà di ribellarsi alle richieste della redazione perchè meno tutelato. “Chi guadagna due euro al pezzo è chiamato a cercare gli aspetti più pruriginosi di una notizia. Un precario sa che se non va a rovistare, per esempio, nel bidone dell’immondizia di casa Scazzi mandano un altro al posto suo. Per chi non è garantito è sicuramente più difficile rifiutare una determinata richiesta perchè sa che il prezzo che rischia di pagare sarebbe davvero alto”.
Sull’argomento, anche Cristiana Raffa, collaboratrice del Sole 24 ore e del Corriere della sera, sostiene che un giornalista che viene pagato a pezzo si guarda bene dall’affrontare argomenti che possano mettere a rischio la sua riconferma per scrivere un nuovo articolo e spesso si trova in una situazione di sudditanza psicologica: il precario per paura di non essere più richiamato accetta silenziosamente qualsiasi compito.
Chi non ha un contratto e viene retribuito per ogni singola collaborazione, manca totalmente di tutele, non può ribellarsi e spesso è anche l’unico che paga il prezzo per il mancato rispetto delle norme sulla dignità personale. Se si continua in questa direzione, c’è il rischio che l’informazione tenda sempre più alla spettacolarizzazione e che i diritti alla privacy vengano rispettati sempre meno. Sarebbe necessario, probabilmente, trovare soluzioni che garantiscano ai precari di lavorare senza rischiare di sconfinare oltre i limiti deontologici e li tutelino legalmente.
Enzo Iacopino sostiene che una strada, per risolvere la situazione di chi non ha un contratto a tempo indeterminato, l’ordine dei giornalisti l’abbia già indicata ed è quella della Carta di Firenze: “I membri dei comitati di redazione, che hanno tutela sindacale, dovrebbero denunciare chi paga poche miserie a pezzo. Se il direttore rischia di andare sotto procedimento disciplinare magari ci riflette un po’ prima di decidere determinate retribuzioni”.
Altre soluzioni ha espresso invece Raffaella Maria Cosentino, fondatrice di “quattro per cinque”, un gruppo di denuncia e di scambio di informazioni sul tema del precariato. “Per prima cosa dovrebbe essere approvata la legge sull’equo compenso. Questo sarebbe uno strumento legale concreto, si stabilirebbero tariffari minimi e ci sarebbero sanzioni abbastanza forti come quella di non dare i contributi pubblici a chi sfrutta i collaboratori. Inoltre servirebbe una forte azione sindacale che tuteli soprattutto i collaboratori che vengono utilizzati al posto dei dipendenti”.