URBINO – C’è un ricordo sfocato di Flavio Falzetti nella sua breve parentesi a Urbino. Era la metà degli anni ’90, l’Urbino Calcio incontrava la Sambenedettese e il calciatore originario di Norcia recuperava palloni al centro del campo. Gianfranco Lamonaca, allora dirigente dell’Urbino, ricorda così il calciatore: “un generoso”. Nella città ducale rimase meno di un anno ma lasciò un bel ricordo, come quasi tutti i ragazzi che hanno calcato il terreno di Via dell’Annunziata, ricorda Lamonaca. Flavio Falzetti è deceduto stanotte nella sua Norcia dopo 14 anni di malattia.
Il suo calvario iniziò a Monte Urano, una volta terminata la parentesi urbinate. A Riccione, nel ’98, Falzetti svenne in campo. Dopo accurate analisi gli fu diagnosticata una leucemia osseo-epatica al IV stadio. La “bestia”, come, da combattente era solito chiamarla, era dentro di lui.
Flavio Falzetti ha combattuto soprattutto per gli altri. Tante le iniziative, tra le quali “la nazionale della vita”, una squadra chiamata “Life” formata da calciatori colpiti da tumore, sulla quale fu trasmesso anche un servizio a Dribbling, il programma di approfondimento sportivo di Rai Due, nel 2010.
La sua lotta si è svolta ovunque. Negli ospedali, dove il calciatore, fin dai primi anni della sua malattia, distribuiva opuscoli a chi condivideva il suo stesso male, fino alla Regione Marche dove ottenne la sua vittoria più bella. La legge regionale numero 5/2012 viene ricordata come legge “Falzetti”. Con un’audizione commovente alla Commissione sanità, convinse la Regione Marche a introdurre, per la prima volta in Italia, il passaporto ematochimico, con l’obbligo per i giovani sportivi dai 14 ai 18 anni, di sottoporsi a screening preventivi obbligatori. Falzetti sperava in un effetto “cascata” per il quale anche nelle altre regioni sarebbe nata una legge simile. L’idea del mediano fu sottoposta anche all’ultimo governo Berlusconi. Si era quasi raggiunto un accordo, ma il governo cadde e tutti i passaggi vennero azzerati. Dal Coni tanti “scambi epistolari” ma di concreto non si è mai fatto nulla.
“Il calcio era la sua stella polare”, le parole del suo amico Francesco Caremani, giornalista freelance, che lo aiutò a scrivere il libro “Oltre il 90°”, testimonianza della sua storia di calciatore e malato di tumore. La vita di un calciatore non si può racchiudere nei 90 minuti di gioco. Quella di Flavio Falzetti si svolgeva soprattutto fuori, negli ambulatori italiani, in oltre 14 anni di chemioterapia, aiutato da tanti medici tra i quali Nando Scarpelli che lo ha accompagnato negli ultimi anni della sua malattia.
Non si è mai arreso. Bicicletta, nuoto, tanto esercizio per smaltire le tossine provocate dalle invadenti cure chemioterapiche. Dopo 35 sedute, la grande illusione: Falzetti può tornare a giocare, dissero i medici. “Gioia” è la parola che Caremani usa per descrivere il momento in cui Falzetti indossò di nuovo la maglia bianco-azzurra della Monturanese per tornare a lottare in mezzo al campo. “Francesco era un combattente. Si dice sempre così, in questi casi, parole stanche, ma che per Flavio valgono veramente” racconta Caremani riferendosi più alla vita fuori dal campo.
Il calciatore ebbe un’attenzione particolare per i giovani, perché, spiega Caremani, “quella dei giovani è una curiosità sana, non come quella degli adulti. Per loro – continua il giornalista – da quando è stato abolito il servizio di leva obbligatoria, le visite medico-sportive costituiscono l’unico screening popolare rimasto”.