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Crisi Rcs, la sfida dei Cdr per salvare 800 posti di lavoro

di    -    Pubblicato il 18/03/2013                 
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“Care lettrici e cari lettori, il giornale che state leggendo oggi è in edicola grazie al senso di responsabilità mostrato dai giornalisti del Corriere della Sera in forza degli avvenimenti eccezionali accaduti ieri”
(Comunicato sindacale del Cdr Corriere della Sera)

corriereseraEra l’11 febbraio, nelle redazioni dei quotidiani e dei periodici del gruppo Rcs probabilmente l’atmosfera era tesa. L’amministratore delegato Pietro Scott Jovane, insieme al capo del personale, aveva annunciato al Comitato aziendale europeo (Cae) il piano per lo sviluppo 2013-2015, che prevede anche l’esubero di 800 dipendenti, di cui 600 in Italia (tra questi 200 sono giornalisti), la vendita o la chiusura di 10 periodici e il trasloco del Corriere della Sera e della Gazzetta dello Sport dalla storica sede di via Solferino.

L’avvenimento eccezionale, invece, era l’annuncio di Papa Benedetto XVI di voler interrompere il suo pontificato. Interessi contrastanti: da un lato il diritto di protestare per la tutela del proprio posto di lavoro; dall’altro il dovere di comunicare ai fedeli e non di tutto il mondo il perché di quel gesto storico. Ha vinto il senso del dovere e il Corriere della Sera, come le altre redazioni giornalistiche, ha iniziato un periodo di intenso lavoro per raccontare tutte le tappe di quell’evento, raro nella storia, che ha portato all’elezione del nuovo pontefice, Papa Francesco. Non è solo “il senso di responsabilità” della professione giornalistica ma anche e soprattutto la voglia intrinseca del giornalista di far parte della storia, anche quando avrebbe tutto il diritto di spegnere il computer e incrociare le braccia.

“Un attacco inaudito e inaccettabile da parte dei vertici di questa azienda (…). Una decisione gravissima che, se applicata fino in fondo, sfregerebbe irrimediabilmente l’identità del Corriere e delle altre testate del gruppo”
(Comunicato sindacale del Cdr Corriere della Sera)

La prossima tappa sarà il Consiglio di amministrazione del 27 marzo in cui, insieme all’assemblea dei soci, verrà delineato l’aspetto finanziario a supporto del piano per lo sviluppo 2013-2015, vale a dire chiarire quanto gli azionisti del patto sindacale saranno disposti a investire nel piano industriale di Jovane. E sembra essere proprio questo l’aspetto più delicato della vicenda Rcs. Il gruppo ha attualmente un indebitamento pari a circa 880 milioni di euro in scadenza tra ottobre e novembre prossimi: che significa otto mesi di tempo per decidere sulla ricostituzione del capitale.

Nel frattempo sta assumendo grande importanza il ruolo svolto all’interno delle redazioni dai rispettivi Comitati di redazione delle divisioni quotidiani e periodici. Dalla settimana scorsa hanno aperto dei tavoli negoziali con i dirigenti e si muovono su due fronti, con richieste in parte differenti, ma con un unico obiettivo: studiare e proporre progetti che favoriscano maggiori ricavi editoriali.

“La crisi del gruppo Rcs – spiega al Ducato Giuseppe Sarcina, membro del Cdr del Corriere della Sera – è una crisi in cui si intrecciano diverse componenti: di mercato, strutturale e finanziaria”. La componente di mercato è la crisi economica che ha portato i ricavi pubblicitari del gruppo, sia del Corriere che della Gazzetta che delle altre testate, in forte diminuzione.

Poi c’è la componente strutturale e cioè la trasformazione tecnologica che spinge i giovani a non leggere più i giornali e a spostarsi su nuove piattaforme: “Da gennaio l’Ads (Accertamento diffusione stampa) ha iniziato a contare anche le nostre copie diffuse sull’iPad ma è chiaro che l’online non dà gli stessi ricavi editoriali della carta, anzi per il momento ne dà zero, perché in Italia ancora nessuno ha sperimentato delle formule tipo il paywall o altri sistemi per far pagare ai lettori le copie digitali”.

Infine c’è la componente finanziaria: “E questo – continua Sarcina – è un problema specifico del gruppo Rcs, subentrato nel 2007 con l’acquisizione del gruppo editoriale spagnolo Recoletos, proprietario del primo quotidiano economico Expansion e il primo quotidiano sportivo Marca». L’intento era quello di creare “insieme a El Mundo, nel quale Rcs era già presente (dal 1999) con una quota, un polo di attività in Spagna che, però, è andato malissimo sia da un punto di vista dei risultati editoriali sia da un punto di vista finanziario”.

SCHEDA Un acquisto (sbagliato) da 1,1 miliardi

Un’operazione rischiosa e poco trasparente effettuata – stando all‘inchiesta che lo stesso Cdr del Corriere ha fatto e pubblicato come comunicato sindacale sul giornale – a prezzi di mercato più alti rispetto ai parametri dell’epoca (l’Rcs ha speso per la Recoletos 1,1 miliardi di euro) e all’ombra di intrecci d’interesse tra compratori e venditori. Uno specchietto per le allodole che “ha trasformando la Rizzoli da impresa sana e senza debiti – nel 2006, prima dell’acquisizione Recoletos, l’Rcs MediaGroup registrava un’utile netto di 219 milioni – a un’impresa molto indebitata (…) che pesa sulla gestione di oggi e ipoteca il futuro del gruppo”.

A questo punto ciò che il Cdr della sezione quotidiani si aspetta dal prossimo Cda di fine marzo è: un immediato aumento di capitale da parte degli azionisti e nuovi progetti editoriali per incrementare i ricavi dal digitale. Riguardo al primo aspetto ancora Sarcina spiega: “A ottobre sembrava che 400 milioni sarebbero potuti bastare, ma con l’aggravarsi della crisi riteniamo che servano almeno 700-800 milioni. Probabilmente ha ragione chi dice che sarà un aumento di capitale in due riprese, una subito di 400 milioni e una più avanti di 200-250 milioni”.

Ma la ricapitalizzazione da sola non basta. “Il problema fondamentale – continua Sarcina – è quello di trovare progetti per aumentare i ricavi. Se non si rompe l’incantesimo di Internet o del digitale a pagamento si può tagliare tutto quello che si vuole, ma nel giro di due o tre anni ci si ritrova allo stesso punto”.

Il piano industriale dell’ad Jovane prevede di far convergere carta e digitale, passando entro il 2015 a ottenere dalla carta il 75% dei ricavi totali del gruppo e dal digitale il 25% (oggi sono rispettivamente l’86% e il 14%).

Riguardo la questione degli 800 esuberi l’azienda ha escluso che si tratti di licenziamenti, anche se non ha chiarito se pensa a prepensionamenti o ad altro. Aspetto delicato che riflette l’incertezza della situazione politica nazionale, perché gli ammortizzatori sociali, previsti in stato di crisi secondo la legge fondamentale dell’editoria n. 416 del 1981, dal 2009 sono a carico dello Stato che mette a disposizione un Fondo statale per i prepensionamenti dei giornalisti, con un budget di 20 milioni di euro l’anno. Ma al momento la Fnsi (Federazione Nazionale Stampa Italiana) ha invitato i Cdr delle diverse redazioni a non firmare nessun tipo di accordo, perché pare che i soldi siano finiti.

Di altra natura è la questione cessione periodici. Sono 10 le testate del gruppo Rcs su cui l’amministratore delegato Jovane sta valutando l’ipotesi di vendita o chiusura: A, Brava Casa, Astra, Max, Ok Salute, l’Europeo, Visto, Novella 2000, Yacht & Sail e il polo dell’enigmistica. Anche qui c’è stata, ovviamente, una dura reazione del Cdr della divisione periodici che, definendo antisindacale il comportamento assunto dall’azienda, ha chiesto e ottenuto l’apertura di tavoli negoziali con l’ad Jovane per evitare la vendita.

“La cessione – spiega al Ducato Marco Persico, membro del Cdr Periodici – è antisindacale perché viola gli accordi presi, con l’attivazione dello stato di crisi, tra azienda e Cdr”. Accordi che furono siglati in seguito al fallimentare tentativo di vendita che Rcs mise in atto nel 2010  per otto testate, tra cui quattro (Astra, Max, Ok Salute e Novella 2000) rimesse in discussione anche adesso. All’epoca l’amministratore delegato era Antonello Perricone e fu con lui che la delegazione sindacale siglò gli accordi per l’attivazione dello stato di crisi, in vigore dal 20 gennaio 2012 al 15 febbraio 2014, come impulso ad un piano di riorganizzazione alternativo alle dismissioni.

Negli incontri di questi ultimi giorni, “l’azienda – afferma Persico – ha confermato l’intenzione di verificare la possibilità di vendere le 10 testate, ma si è detta disponibile a esaminare ogni proposta alternativa alla cessione. Noi pensiamo che la fase vada affrontata in un altro modo, senza mettere a rischio il valore di un patrimonio professionale enorme con operazioni di vendita dall’orizzonte discutibile. Parliamo sempre di 10 testate che costituiscono il 18-20% del fatturato dell’azienda e impiegano oltre 100 giornalisti”.

Le trattative ufficiali tra azienda e Comitati di redazione riprenderanno solo dopo il consiglio di amministrazione del 27 marzo. Giuseppe Sarcina ha confermato la possibilità di uno sciopero qualora le aspettative di una ricapitalizzazione da parte degli azionisti venissero disattese, mentre Marco Persico spera che dai tavoli negoziali di questa settimana si possa arrivare ad una soluzione più equilibrata. Abbiamo anche provato a contattare Pietro Scott Jovane, ma l’azienda in questa fase non rilascia dichiarazioni.

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