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Il caos calmo della rettifica online: se la deontologia non basta

di    -    Pubblicato il 13/06/2013                 
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“Il cielo stellato sopra di me – diceva Immanuel Kant – la legge morale dentro di me”. Quando non esistono regole certe, l’unica barriera ad arginare l’istinto degli uomini (e dei giornalisti) è la sottile e variabile linea della moralità. E’ questo il caso del giornalismo online e dell’obbligo di rettifica, sul qual c’è un’assenza di norme che rischiano di produrre squilibri nella tutela dei diritti dei cittadini che la chiedono.

La stampa online è regolata, come il resto dell’informazione italiana, da una legge datata 8 febbraio 1948 . Ben prima della Rete, e quando la tv non era ancora arrivata in Italia. Chiaro quindi che ci siano dei problemi. Cosa deve fare il cittadino che vuole rettificare una notizia su un giornale online? E come deve comportarsi il giornalista?

Come detto, una norma di legge non esiste. La legge del 1948 detta i requisiti per la rettifica sui mezzi d’informazione tradizionali. La testata giornalistica è obbligata a pubblicare tempestivamente le rettifiche – anche qualora contengano informazioni false – entro un certo numero di edizioni, a seconda del tipo di pubblicazione (settimanale, giornale radio, quotidiano).

Nel caso di internet, però, sorgono due grossi problemi:

  1. le edizioni, in senso proprio, non esistono,
  2. il web non è contemplato dalla legge tra i mezzi d’informazione

Di conseguenza, non esistono regole per stabilire quando esista il diritto di replica da parte della persona che si sente offesa da un contenuto e la forma che deve prendere questa rettifica.

“Non c’è nessuna regola – conferma Carlo Melzi D’Eril, avvocato penalista esperto di giornalismo (per la trasparenza: è anche docente dell’Ifg) – salvo il codice deontologico dei giornalisti. Se il giornalista online venisse citato in giudizio per una mancata rettifica, infatti, la sua posizione verrebbe immediatamente archiviata perché non c’è nessuna norma che regola la materia, a differenza di ciò che avviene per gli altri mezzi d’informazione”. È bene precisare che si parla soltanto dell’obbligo di rettifica: il giornalista online, come tutti gli altri, risponde penalmente per il reato di diffamazione.

“Una buona soluzione normativa – sostiene ancora Melzi D’Eril – sarebbe far scattare l’obbligo di rettifica per le testate e i mezzi d’informazione online secondo un criterio temporale, magari con un limite di spazio e con la condizione che la notizia da rettificare sia falsa, come avviene per le televisioni”.

Così la deontologia professionale rimane l’ultimo argine all’anarchia, anche se per l’Ordine dei giornalisti è quasi come fermare la marea con le mani. Dario Gattafoni, presidente dell’Ordine dei giornalisti delle Marche, sostiene che “una norma di legge ben fatta sarebbe utile e auspicabile, ma noi non ne abbiamo bisogno: il codice deontologico parla chiaro, il giornalista è comunque obbligato alla rettifica, quindi se la regola legislativa interviene a fissare un paletto, sicuramente ne beneficeremo tutti, altrimenti comunque ci sono delle norme inderogabili sul comportamento dei giornalisti”.

Va detto, però, che se queste regole sanzionano i giornalisti, non tutelano in modo diretto i cittadini interessati alla rettifica, proprio perché sono norme la cui applicazione spetta all’Ordine che non è un tribunale e che non ha potere sui non iscritti. Il cittadino viene tutelato dall’Ordine solo in via indiretta, attraverso il potere di controllo e censura sui giornalisti, compresi quelli del web (esclusi i blogger).

Fin qui la teoria, ma in pratica, come deve comportarsi il giornalista ? Come si rettifica un pezzo online, per definizione immateriale? Ci sono varie scuole di pensiero: c’è chi corregge il pezzo originale, chi aggiunge in testa o in coda la rettifica, chi sbarra la frase da rettificare con una riga e scrive accanto in corsivo le parole nuove che correggono il “tiro” della notizia, chi rettifica in un nuovo pezzo, chi – salomonicamente – si toglie dall’imbarazzo cancellando totalmente il pezzo originale.

I giornalisti si muovono quindi in ordine sparso. A  mettere ordine nella faccenda dovrebbe essere il parlamento che, anche se frammentariamente, ci ha anche provato: nel 2009, maggioranza e opposizione presentarono, all’interno del disegno di legge sulle intercettazioni, due emendamenti contraddittori.

Il senatore D’Alia, messinese in quota Udc, presentò un emendamento che fu ribattezzato “ammazza-blog”: prevedeva che i gestori dei siti d’informazione dovessero procedere “immediatamente” alla pubblicazione della rettifica. Ma cosa vuol dire “immediatamente” in un modo che si muove alla velocità dei bit? Il Pd propose invece un periodo di tempo di 48 ore dalla richiesta di rettifica alla sua pubblicazione. Ma il Ddl intercettazioni non vide mai la luce, e gli emendamenti quindi sono finiti nella soffitta di Palazzo Montecitorio. Lasciando da sola la deontologia.

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