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Le ‘notizie’ hanno le gambe corte: le sfide di Al Gore e Fabio Fazio

di    -    Pubblicato il 23/03/2013                 
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A cercarla nei dizionari italiani, l’espressione “fact checking” non si trova ancora. I vocabolari stranieri, invece, la spiegano bene: il “fact checker” è “colui che verifica le informazioni”. Sviluppatasi negli Stati Uniti, questa pratica di controllo ha assunto nel tempo diverse vesti.

L’ultima novità su questo fronte è “Reality Drop”, una piattaforma di fact checking ideata dal politico statunitense Al Gore e dedicata  all’ambiente. Il funzionamento è semplice: la redazione passa in rassegna le notizie che i media diffondono sul tema del cambiamento climatico verificando quali siano vere e quali siano false. Queste notizie vengono poi riportate sul sito che si divide in varie sezioni: in “Myth and reality”, ad esempio, vengono presentati e smentiti numerosi luoghi comuni sull’ambiente e cliccando su “This myth in the news” è possibile rintracciare anche gli articoli che li hanno riportati.

Gli utenti internet hanno poi un ruolo importante: possono esprimere la propria opinione, facendo sorgere dubbi e contestando le decisioni dei fact checker del sito. Ma non solo. Sono loro a dover decidere, in alcuni casi, se assumersi il compito di diffondere “la verità” sui social network. Più la diffonderanno più accumuleranno punteggio: strutturata come un videogame, la piattaforma classificherà gli utenti in “reclute”, “ispettori” o “detective”. Un ‘premio’, quindi, a cui possono aspirare tutti coloro che contribuiranno a questo processo di diffusione della verità.

Il grosso del lavoro di “smascheramento” delle falsità negli Stati Uniti viene fatto dalle redazioni. I grandi giornali sono dotati, di solito, di grandi dipartimenti che si occupano proprio del controllo dell’informazione e che hanno come obiettivo quello di evitare alla testata brutte figure dovute agli scivoloni di qualche giornalista.

Al lavoro quotidiano delle redazioni, alla professionalità insomma, si sono affiancati nel tempo siti dedicati a questa attività che, particolarmente impegnati nei periodi di campagna elettorale, sono sempre  in prima linea nella battaglia contro le menzogne.

Tra questi, il Washington Post ha aperto il blog The Fact Checker, che assegna da uno a quattro Pinocchi a seconda della gravità della bugia detta, e Thruth Teller, lanciato di recente, che verifica le affermazioni reperite online tramite un avanzato sistema di analisi semantica dei testi. O Polifact.com, vincitore del Premio Pulitzer nel 2008 per la copertura delle elezioni politiche di quell’anno, che si serve del Truth-O-meter, un metro di giudizio della veridicità dei fatti che va da “true” a “pants of fire” (letteralmente “pantaloni in fiamme”), attribuito a chi davvero l’ha sparata grossa.

Ma passare al setaccio le ‘sparate’ dei politici e dei giornali non è un grattacapo solo per gli americani. In Italia, dove le redazioni dei grandi giornali non sono dotate di adeguati “cani da guardia” dell’informazione, il fact checking si sta affermando in ritardo e con qualche gap rispetto al modello americano.

Uno dei siti di fact checking italiani più attivi parte proprio dall’esperienza di Polifact.com: si chiama Pagella Politica e passa al vaglio le dichiarazioni dei politici. Composta da una redazione di non-giornalisti, associa ad ogni notizia una scala di valori che va da “vero” a “c’eri quasi” a “nì” per finire a “Pinocchio andante” e “Panzana pazzesca”.

Un esempio. “La crescita non dà posti di lavoro, li toglie. La Germania, negli ultimi vent’anni, ha raddoppiato la produzione di qualsiasi cosa. I posti di lavoro sono diminuiti del 15%”: ecco una dichiarazione di Beppe Grillo, fatta durante lo Tsunami Tour di inizio anno, bollata come Panzana Pazzesca dalla redazione del sito. Per smentirlo, ecco riportati i dati dell’Eurostat, dell’Ocse e un reportage di Reuters.

“In Italia c’è un grande bisogno di fact checking perché qui, più che in altri paesi, si tende a scrivere le notizie un po’ a ‘tirar via’. I giornali hanno bisogno di vendere e per questo puntano sul titolone”, afferma Davide Maria De Luca, ex studente dell’Ifg di Urbino, fact checker per passione e ora anche per lavoro. Sul Post.it e in tv, il giovane giornalista cerca di fare quello che dovrebbero fare tutti i giornalisti prima di pubblicare una notizia: verificarla.

“E’ una tragedia ogni volta che la Banca d’Italia o l’Istat pubblicano i loro rapporti –continua Davide De Luca – perché i giornali tendono ad interpretare i loro risultati. Quando uscì il rapporto sulla povertà, quasi tutti i giornali titolarono: ‘Il 65% degli italiani non arriva a fine mese’. Ma non era così”.

Controllare tutti i dati, setacciare le fonti, scandagliare le enciclopedie come si faceva un tempo, non è impresa facile. Non tutti i giornalisti hanno il tempo necessario (e la voglia?) per dedicarsi a simili ricerche. Anche se questo dovrebbe essere il loro compito primario.

Il fact checking è poi un’analisi che viaggia su un “secondo piano”, ossia viene sempre dopo la notizia o la dichiarazione che si decide di analizzare. Mentre dovrebbe arrivare prima. “Avremmo bisogno di redazioni più giovani, più numerose, più dinamiche – afferma Davide Maria De Luca – in grado di verificare i fatti in cinque minuti”.

Ma qual è il vero freno allo sviluppo di un fact checking tutto italiano? “Il problema – continua De Luca – è che le notizie verificate non finiscono in prima pagina. Nessuno ha voglia di leggere approfondimenti su un argomento che ha già letto. Anche se quegli approfondimenti rivelano la verità. E’ sempre la notizia sbagliata a raggiungere il pubblico più ampio”.

Quali potrebbero essere, invece, i vantaggi del fact checking? In primo luogo, una pratica del genere potrebbe fare da ‘cane da guardia’ del potere. “Se i politici sentissero ‘il fiato sul collo’ dei giornalisti – afferma Davide Maria De Luca – starebbero più attenti a fare dichiarazioni false, perché saprebbero di poter venire subito smentiti”.

Insomma, starebbero attenti ai “rompiballe”, come vengono appellati i fact checker da Fabio Fazio e Massimo Gramellini, nella puntata di lunedì 18 marzo di Che Tempo che fa. Un tentativo, quello fatto durante la puntata, di portare il fact checking in televisione, con un botta e risposta di notizie lette da uno e smentite dall’altro.

Fazio: “Ultimamente va molto di moda il fact checking…”
Gramellini: “E che cos’è?”
Fazio: “Il fact checking è la verifica dei fatti. Ogni fatto che viene detto, letto, scritto sui giornali c’è qualcuno che lo controlla. Noi abbiamo voluto tradurre in Tv questo fact checking. Però lo abbiamo chiamato in un altro modo. E’ il dialogo tra uno che dice una cosa e un altro che la verifica. Quindi tra un Caccia balle e un Rompi balle“.

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