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Offshoreleaks, Sisti: “Così abbiamo fatto un’inchiesta a 172 mani”

di    -    Pubblicato il 5/04/2013                 
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Un’inchiesta a 172 mani, giornalisti di 38 nazioni da agosto 2012 impegnati a setacciare notizie in un database 160 volte più grande del più noto Wikileaks di Julian Assange. E’ quel c’è sotto il cofano di “Offshore Leaks”, pubblicata anche in Italia oggi su L’Espresso a firma del cronista Leo Sisti, unico italiano coinvolto dall’International Consortium of Investigative Journalists (Icij), il consorzio di giornalisti di inchiesta con sede a Washington Dc.

Per la prima volta un’indagine giornalistica ha la possibilità di conoscere da vicino i traffici dei più famosi paradisi fiscali con circa 130.000 nomi tra imprenditori, politici e altri personaggi pubblici contenuti nei documenti: “E’ bene sapere  – dice al Ducato Leo Sisti – che detenere una società offshore o un trust non è di per sé un reato. Mai nessuno, però, dichiara i redditi provenienti dal loro uso e il fatto che si rivolgano ai paradisi fiscali per eccellenza evidenzia un fumus in ragione fiscale: la ferma volontà di essere chiari ci mette al riparo da eventuali querele”.

Il giornalista Leo Sisti

Le persone coinvolte nel pezzo pubblicato sono state interpellate da Sisti: “In alcuni casi hanno ammesso l’esistenza dei conti, altri come un’hacker della security di Telecom hanno smentito. Certo ognuno ha diritto di dire quel che vuole, ma le carte parlano chiaramente di un’offshore costituito a suo nome”.

In altri casi le scoperte hanno lasciato incredulo lo stesso cronista, come quando sono spuntati i nomi di alcune fondazioni caritatevoli come l’Unione Italiana Ciechi, la Lega Italiana per la Lotta contro l’Aids e il Centro del Bambino Maltrattato, beneficiarie di due trust: “Stentavo a crederci – ammette Sisti – gli stessi enti non sapevano nulla, né tanto meno hanno mai ricevuto denaro da paradisi fiscali: il loro nome è usato per sviare l’attenzione di eventuali indagini della magistratura. Un caso simile me l’ha raccontato un collega australiano che ha scoperto lo stesso fenomeno con il coinvolgimento della Croce Rossa, ignara di tutto”.

Un lavoro come l’offshoreleaks sarebbe impensabile senza la collaborazione reciproca degli 86 giornalisti impegnati in tutto il mondo: “Ci siamo scambiati spesso notizie  – racconta Sisti –  usando molto Skype e tantissimo le email. La collaborazione è a 360°, ognuno di noi ha analizzato il materiale relativo alla propria nazionalità e poteva incontrare informazioni su soggetti stranieri che interessavano colleghi per esempio francesi o tedeschi, e viceversa loro potevano essermi utili per conoscere meglio questioni legate alle loro realtà”.

Il giornalismo investigativo nel mondo vive e lotta insieme a noi, direbbe un vecchio slogan. E l’Icij di Washington, animato da oltre cento giornalisti, è ‘solo’ una parte della ben più ampia “Investigative Reporters and Editors”, l’organizzazione promossa dall’Università del Missouri che riunisce 4.000 cronisti di tutto il mondo. Ogni anno l’Ire organizza una grande conferenza (la prossima dal 20 al 23 giugno a San Antonio, Texas) con oltre 100 panel tenuti da professionisti del giornalismo investigativo mondiale: “Un’occasione preziosa – aggiunge Sisti – per chi vuole conoscere e approfondire nuove tecniche e incontrare tanti colleghi con i quali ho condiviso inchieste e premi vinti”.

Negli Stati Uniti come in Italia fare un’inchiesta costa tempo e denaro: “In Italia la situazione è pessima – critica Leo Sisti – perché è più frequente che le inchieste si facciano in pochi giorni, buttate nei giornali a riempire le pagine. E capisco i giovani colleghi che lavorano in questo modo pagati pochi euro a pezzo nei settimanali e nei quotidiani che difficilmente sono disposti a pagare adeguatamente qualcuno per un lavoro che può durare mesi, con i relativi costi. Per questo lavoro con molto più piacere con i colleghi americani, avanzo con loro proposte e realizzo i miei lavori grazie a fondazioni come la Nieman Foundation, impegnata a finanziare inchieste giornalistiche anche per prestigio, oltre che per godere delle detrazioni fiscali”.

L’inchiesta Offshoreleaks ha trovato spazio nell’Espresso  ed è stato citato da tutti i quotidiani italiani: “Non è un caso se questo accade – incalza Sisti – io personalmente lavoro dallo scorso gennaio ai documenti italiani e il giusto tempo che ho potuto dedicare all’argomento mi ha permesso di presentare risultati inoppugnabili. In Italia diamo fin troppo spazio alla politica con una dilatazione eccessiva rispetto al modello a cui mi voglio ispirare”.

Mentre proprio oggi un gruppo di giornalisti inseguiva il pullman dei parlamentari grillini che si sarebbero riuniti in una “località segreta”, Leo Sisti non ha avuto dubbi sulla sua idea  di non-giornalismo: “Ho ancora impressa l’immagine di uno che ha inseguito in vespa Beppe Grillo arrivato a Roma per incontrare il presidente Napolitano, lo ha rincorso bruciando semafori rossi per poi raggiungerlo e dirgli ‘a Beppe dacce na notizia!’, ma questa è follia!”.

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