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Già 122 giornalisti minacciati nel 2013: nei piccoli centri e tra i precari i più colpiti

C’è un numero sulla colonnina destra del sito www.ossigenoinformazione.it. La cifra segnala in tempo reale la quantità di cronisti italiani vittime di intimidazioni. Dall’inizio dell’anno a oggi quel numero è arrivato a quota 122.

Dal rapporto di Ossigeno emerge come gli episodi di intimidazione siano notevolmente aumentati negli ultimi anni, passando da 54 nel 2010 a 152 nel 2012. Impressionante anche l’aumento dei giornalisti coinvolti che sono passati da 40 a 325 l’anno. Una cifra che potrebbe nascondere una realtà anche peggiore.

“Ognuno di noi – racconta Alberto Spampinato, direttore e fondatore del sito – conosce molti più casi ma spesso solo uno su dieci viene reso noto: in totale i giornalisti minacciati negli ultimi cinque anni potrebbero raggiungere anche i diecimila”. Ovvero: del fenomeno si conosce solo la punta dell’iceberg.

La lievitazione progressiva delle denunce spesso però non corrisponde a un effettivo incremento degli episodi di minaccia. Spampinato attribuisce il fenomeno in primis al ruolo di Ossigeno per l’informazione che è diventato un punto di riferimento per numerosi giornalisti minacciati. “Bisogna poi considerare – spiega Spampinato – l’effetto della diffusione delle notizie sul web: se prima si poteva bloccare un articolo intervenendo su un giornale locale, oggi farlo è diventato molto più complicato. Tutto questo ha un effetto di rimbalzo e anche i cronisti delle grandi testate nazionali si sentono trascinati su un terreno di maggiore impegno”.

Il punto di vista del direttore di Ossigeno è chiaro: il fenomeno delle minacce “da una parte segnala un grave problema di limitazione dell’informazione e dall’altra accende un faro sulla presenza di molti giornalisti che si espongono a rischi notevoli per condurre le proprie inchieste”.

Una di loro è Ester Castano, 22 anni e una voglia matta di diventare giornalista. “Il lavoro che faccio lo svolgo con responsabilità. Ci si può sentire meno sicuri ma preferisco non pensarci”. Quella di Ester è soltanto una voce nel coro di giornalisti che quotidianamente devono fare i conti con intimidazioni e minacce. Le loro armi sono carta e penna, videocamere e microfoni. “Esserci e scrivere ti rende un testimone – spiega Arnaldo Capezzuto, giornalista napoletano coautore del libro Il Casalese- per un giornalista luoghi come la Campania o la Sicilia diventano “territori laboratorio” in cui il tuo ruolo è quello di creare un collegamento tra i lettori e la realtà”.

LEGGI LE INTERVISTE A CASTANO E CAPEZZUTO
“Noi che lavoriamo tra proiettili e querele” 

Il fenomeno delle intimidazioni non è localizzato in una sola parte del paese ma si distribuisce a macchia di leopardo sulla penisola e colpisce soprattutto i giornalisti precari che non hanno un sostegno economico sufficientemente forte per permettersi di reagire. “Quando si parla di intimidazioni – spiega ancora Spampinato – esistono due Italie e non si tratta di Nord e Sud bensì di centro e periferia”.

Nell’Italia del “centro”, delle grandi città, dove ci sono tante testate e redazioni, tutto ciò che succede è sotto i riflettori. “Ci sono molte luci ed è difficile censurare una notizia. In periferia invece le luci dell’informazione sono poche e più deboli: tante volte basta spegnere un lampione per creare il buio”.

Storie come quelle di Mauro Rostagno o di Peppino Impastato, giornalisti uccisi dalla mafia negli anni ’80, testimoniano come il fenomeno delle minacce ai cronisti non sia nuovo per l’Italia. Se negli anni ’70-’80 per ostacolare il lavoro e le inchieste dei giornalisti più impegnati si usavano le bombe e si sparava oggi si ricorre a strumenti di intimidazione meno eclatanti ma comunque efficaci. “Il problema – secondo Alberto Spampinato - è che, a causa delle leggi che regolamentano la professione, la condizione del giornalista in Italia è più debole che in altri paesi. Ad esempio la querela pretestuosa può essere usata con estrema facilità e a scopo intimidatorio”.

Le riflessioni sull’uso della querela animano da anni il dibattito tra ordine e sindacato dei giornalisti. Proprio qualche tempo fa la commissione parlamentare antimafia aveva condotto un’ inchiesta sui cronisti minacciati e l’argomento aveva destato l’interesse dell’ex procuratore nazionale antimafia Piero Grasso, favorevole all’istituzione di un reato di “ostacolo all’informazione” e alla modifica della procedura in materia di querela e risarcimento danni.

Le querele cadono come “pioggia acida” sui giornalisti, che in assenza di una struttura economica capace di sostenerli e vivendo sul filo della precarietà, sentono pesare sul proprio lavoro più le querele che le minacce. “Nessuno minacciava Pippo Fava o Mario Francese prima di ammazzarli; li ammazzavano e basta. E’ per questo che la minaccia mi preoccupa molto meno della querela – precisa Riccardo Orioles, fondatore de I Siciliani e impegnato nella lotta a difesa dei giornalisti anti-mafia – ovviamente la querela è uno strumento importante ma spesso la si usa in modo distorto per ostacolare la nostra attività di cronisti”.

La riflessione sullo strumento della querela si lega indissolubilmente all’ultimo importante tassello sulla libertà d’informazione: il sostegno economico. “La minaccia fa parte del mestiere. E’ un rischio del gioco – va avanti Orioles- ciò che invece fa veramente paura è l’assenza di una struttura economica che sovvenzioni le nostre inchieste”.

“Pippo Fava e Riccardo Orioles – ricorda Capezzuto – hanno creato con I Siciliani un mensile di sola inchiesta giornalistica ma quel giornale è durato pochissimo e addirittura hanno ammazzato il direttore”. Con un filo di amarezza nella voce, il giornalista napoletano, si rammarica della scomparsa del giornalismo di inchiesta. “Nell’Italia che retrocede nelle classifiche sulla libertà d’informazione, il giornalismo d’inchiesta è morto definitivamente.”

Le ultime parole sull’argomento sono di Enzo Iacopino, presidente nazionale dell’Ordine dei giornalisti, che ha messo in evidenza la conclusione dell’indagine della commissione parlamentare antimafia sul rischio di infiltrazione mafiosa nell’informazione: “Le querele temerarie sono ‘intimidatorie’. Il segreto professionale va garantito a tutti i giornalisti, professionisti o pubblicisti che siano, per tutelare il diritto dei cittadini ad una informazione libera. Avevo chiesto quando venni ascoltato assieme a Giovanni Tizian di verificare gli assetti proprietari, soprattutto nel Mezzogiorno, dei mezzi d’informazione. La commissione segnala che vanno chiarite ‘le relazioni fra stampa ed economia o fra stampa ed imprenditoria’, su cui sollecita ‘una specifica iniziativa legislativa’ per scongiurare infiltrazioni criminali e mafiose. È stato complicato, ma alla fine sembra vedersi un po’ di luce”. Forse uno di quei lampioni di cui parla Spampinato si è finalmente acceso.

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