È la pubblicità, bellezza: se la free press è in crisi, infatti, la colpa è tutta della mancanza di pubblicità. Questo spiega Giampaolo Roidi, direttore di Metro, uno dei tre quotidiani a distribuzione gratuita ancora esistenti in Italia, insieme a Leggo e DNews.
“La crisi è congiunturale e la free press ne soffre più della stampa tradizionale perché non ha altro mezzo al di fuori della pubblicità per finanziarsi”. Non è, dunque, il mezzo – il quotidiano gratuito – di per sé in crisi, ma tutto il sistema editoriale che si basa sulle inserzioni pubblicitarie, che ora scarseggiano. Che si tratti di free press o di quotidiani tradizionali non c’è differenza.
Il problema è sia nazionale che locale. Non ci sono più inserzionisti disposti a finanziare la free press, non solo a tiratura nazionale, ma anche e soprattutto nelle edizioni locali. Lo dimostra la scelta obbligata di Metro, che ha dovuto chiudere le due sedi in Sardegna (a Cagliari e Sassari) per mancanza di fondi, che fino a pochi mesi fa venivano assicurati dalla pubblicità locale.
L’ovvia conseguenza è un calo nel numero assoluto di lettori a livello nazionale. I dati Audipress parlano chiaro: nel terzo quadrimestre del 2012, Metro ha perso 68 mila lettori, un calo del 4,6%. Ma anche gli altri due quotidiani gratuiti hanno visto ridursi il numero di lettori: 72 mila in meno per Leggo (-5,1%) e 26 mila per DNews (-12,9%).
Il trend viene confermato anche dai dati europei pubblicati di recente da Newspaperinnovatio.com: la diffusione è crollata del 9% in un anno, passando dai 17,4 milioni di copie nel 2011 ai 15,8 del 2012. Cala anche il numero di testate: da 82 a 74. I paesi più colpiti dalla “crisi di copie” sono la Spagna (per la chiusura di Què!), l’Olanda (De Pers), l’Italia (City) e la Danimarca (Urban).
Eppure Roidi non vede una crisi della free press: “Non sono i lettori a mancare, la diffusione diminuisce solo perché non è possibile stampare un maggior numero di copie per la mancanza dei fondi derivanti dalla pubblicità”. In sostanza, secondo il direttore di Metro, “se la diffusione della free press fosse più ampia, aumenterebbero i lettori, non c’è crisi di lettori”.
Il problema è dunque dove limare i costi nel momento in cui vengono a mancare i soldi. L’unica soluzione, secondo Roidi, è quella di limitare la diffusione per poter risparmiare qualcosa, così come è stato fatto nel caso delle sedi sarde.
A dimostrazione della centralità degli inserzionisti Roidi porta i due casi più lampanti di crisi dovuta alla mancanza di fondi pubblicitari nella free press italiana, quelli di EPolis e City, costretti a chiudere negli ultimi anni.
Cosa riserva il futuro alla free press? La visione di Roidi è moderatamente ottimista: la free press non può morire. È un tipo di giornalismo che può riuscire a intercettare un pubblico trasversale. Va incontro al lettore, non aspetta che sia quest’ultimo ad andare a cercare il giornale. Chiunque, potenzialmente, viene raggiunto dall’informazione. Tutto dipende solo dalla pubblicità. Nel momento in cui il mercato dell’advertising si riprenderà – se e come ciò avverrà è però tutto da vedere – la free press non potrà che giovarne e tornare a essere punto di riferimento per tutti i lettori italiani.