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Associated Press spiata per due mesi dal governo americano

di    -    Pubblicato il 14/05/2013                 
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La sede dell'ApLe redazioni di un’agenzia di stampa sotto osservasionr come covi di malfattori,  telefoni controllati per sessanta giorni con l’unico scopo di svelare il volto della talpa. Non è la trama di un film di spionaggio, ma il retroscena di un’indagine condotta dal dipartimento di Giustizia degli Stati Uniti nei confronti dell’Associated Press. L’agenzia di stampa ha fatto sapere stamattina di essere stata informata dei controlli sui tabulati di 20 linee telefoniche negli uffici di New York, Hartford e Washington, compreso il numero riservato all’AP nella sala stampa della Camera dei Rappresentanti. Oltre a un comunicato ufficiale sul suo sito, AP ha diffuso la notizia sul suo account Twitter con un video.

Gli investigatori hanno monitorato le chiamate in entrata e in uscita effettuate nei mesi di aprile e maggio del 2012, potendo così tenere d’occhio i contatti di almeno 100 reporter: tra le linee spiate, anche quelle private di cinque giornalisti (Matt Apuzzo, Adam Goldman, Kimberly Dozier, Eileen Sullivan e Alan Fram) coinvolti nella realizzazione di un rapporto che aveva fatto saltare sulla sedia il dipartimento di Giustizia.

Il 7 maggio 2012, infatti, l’Associated Press ha pubblicato i dettagli di un attentato progettato da Al Qaeda per colpire gli Stati Uniti e sventato all’ultimo con un’operazione della Cia in Yemen: dopo questa rivelazione, il dipartimento di Giustizia ha aperto un’inchiesta per capire chi fosse la fonte riservata che aveva fornito all’agenzia di stampa un’informazione talmente sensibile. Finora le autorità non hanno fornito ad Associated Press una spiegazione per giustificare i controlli telefonici, ma la stessa agenzia ritiene che siano da collegare al rapporto del maggio 2012.

“Non ci può essere alcuna giustificazione per una così ampia raccolta di comunicazioni telefoniche della Associated Press e dei suoi giornalisti – ha dichiarato il direttore esecutivo di AP Gary Pruitt in una lettera indirizzata al ministro della Giustizia Eric Holder – queste informazioni potrebbero rivelare le comunicazioni con fonti confidenziali, fornire una road map delle operazioni di raccolta di notizie e divulgare le informazioni sulle attività e le operazioni di AP che il governo non ha alcun diritto di sapere”. Pruitt ha richiesto ufficialmente al dipartimento di Giustizia di distruggere gli elenchi delle telefonate monitorate.

L’indignazione di Pruitt per quella che definisce “un’intrusione enorme e senza precedenti” ha trovato una sponda nelle parole di Christophe Deloire, segretario generale di Reporter Senza Frontiere: “Una tale palese violazione delle garanzie costituzionali deve essere oggetto di una commissione d’inchiesta del Congresso. Siamo spiacenti di vedere che il governo federale ha perpetuato le pratiche che hanno prevalso durante i due mandati di George W. Bush, quando i funzionari hanno sacrificato la protezione dei dati personali e, soprattutto, il primo emendamento sul diritto dei cittadini di essere informati. Questo caso ha dimostrato la necessità di una legge scudo federale che garantisca la protezione delle fonti dei giornalisti”.

Lo stesso panorama politico statunitense è in fibrillazione dopo quanto avvenuto. “La Casa Bianca – ha dichiarato il portavoce Jay Carney – non è a conoscenza di azioni del dipartimento della Giustizia per ottenere i tabulati telefonici di alcune linee in uso alla Associated Press o a suoi giornalisti”. Carney ha inoltre sottolineato che la Casa Bianca “non viene coinvolta in alcuna decisione presa nell’ambito di indagini penali, poiché si tratta di questioni gestite dal dipartimento della Giustizia”. Il deputato repubblicano della California Darrell Issa, uno dei più strenui sostenitori del Patriot Act, ha però puntato il dito contro l’amministrazione Obama, i cui funzionari, secondo Issa “vedono sempre più se stessi come al di sopra della legge e incoraggiati dalla convinzione che non devono rendere conto a nessuno”.

Frank Wolf, repubblicano della Virginia, ha detto al giornale Hill che l’incidente “ricorda lo scandalo Watergate. È l’arroganza del potere. Se possono farlo all’AP, possono farlo a qualsiasi testata del paese”. Anche il presidente della commissione Giustizia del Senato, il democratico Patrick Leahy, ha criticato l’operato delle autorità, chiedendosi se fosse proprio necessario violare l’indipendenza dei media acquisendo i tabulati telefonici.

Ancora più forte l’ondata di protesta che ha attraversato i social media: su Twitter, l’hashtag #ap è uno dei più popolari e si arricchisce continuamente con nuovi contributi. Il tweet di AP che stamattina ha annunciato l’indagine è stato rilanciato finora 177 volte e, sebbene la Casa Bianca abbia preso le distanze dall’indagine su Associated Press, gli utenti continuano a chiedersi: “Come può la stampa essere il cane da guardia del potere, se il governo ficca il naso persino nelle sue telefonate?”.

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