URBINO – “Se una radio è libera ma libera veramente, mi piace ancor di più perché libera la mente”. Per chi come Eugenio Finardi ha cantato la rivoluzione delle radio libere negli anni settanta, l’attacco terroristico al settimanale francese Charlie Hebdo è quanto di più ‘blasfemo’ possa concepire un uomo. “La libertà di parola e stampa è una delle grandi conquiste dell’uomo”, dice il cantautore commentando la tremenda vicenda parigina al termine del suo spettacolo “Parole e musica”, giovedì scorso al Teatro Sanzio di Urbino.
Una messa in scena inusuale per un musicista dall’anima elettrica come Finardi, che si sviluppa tra sonorità acustiche, racconto biografico e riflessione sull’attualità. Nel suo nuovo spettacolo la “parola” precede sempre la “musica”: ogni brano ha la sua storia, ogni evento ha ispirato una canzone. Così Finardi le ha, con semplicità, raccontate al pubblico tra un brano e l’altro facendo emergere emozioni in forte contrasto tra loro.
È ancora musica ribelle. I classici del repertorio (Le ragazze di Osaka, Extraterrestre, Un uomo) si mischiano ai pezzi del nuovo disco, il combattivo Fibrillante. Pezzi nei quali il cantante urla il suo sdegno contro una classe dirigente di “ideologi cresciuti alla Bocconi”, dove è facile vedere il riferimento a Mario Monti e altri ministri del suo governo. O il rassegnato lamento di Savonarola, con il cantante che come l’eretico bruciato sul rogo predica contro una società di “arrivisti e arroganti”. Per questo si dichiara critico verso “coloro che dicono che Hebdo aveva esagerato. Più un’ideale è intenso e forte più si deve poterlo criticare, più si deve poterlo prendere in giro”.
Così durante lo spettacolo Finardi non si limita a porgere i brani al suo pubblico, ma ragiona a lungo, tra un pezzo e l’altro, sulla genesi dei suoi testi o su temi d’attualità come i licenziamenti nelle fabbriche a Terni e in Sardegna. Raccontandosi si commuove quando parla della nascita di Elettra, sua figlia affetta da sindrome di Down. Un momento che, per il cantante, rappresenta la cesura fondamentale della sua vita, la fine degli atteggiamenti da rocker egocentrico, la disillusione verso i beni materiali e la lenta scoperta di un mondo riempito dall’affetto che scaccia la solitudine.
Un concerto raccontato. Ed è anche per questa nuova visione del mondo, per questo cambio radicale che pensa a “Parole e musica”, che nasce dalla “percezione che la gente ha voglia non solo di canzoni, di contenuti, di racconti. Mi sono reso conto che negli ultimi anni mi veniva dal pubblico non solo una richiesta di canzoni, di musica, di melodia – afferma l’artista – ma anche l’esigenza di un incontro che servisse a chiarire e ad approfondire i temi che in questi tempi turbolenti sempre più ci inquietano, ma anche le storie che hanno ispirato le canzoni che canto e le riflessioni che questi quarant’anni di carriera e di esperienza mi hanno portato a fare”. Le sonorità si fanno meno aspre ed elettriche per venire incontro al “desiderio di un pacato confronto in tempi di comunicazione urlata”.
Il pubblico ascolta attento, non si sente nemmeno un sussurro durante il racconto che precede quasi ogni brano. Solo verso la fine dello spettacolo, quando la scaletta si fa più accesa e il ragionare di Finardi si immette nell’invettiva, gli ascoltatori ricambiano il gruppo con lunghi e convinti applausi.
Il buon rapporto con Urbino. Quando lo spettacolo finisce il teatro Sanzio si svuota con lentezza, con gli spettatori che si scambiano pareri all’uscita o si attardano per cercare di scambiare qualche parola con l’artista. Qualcuno sottolinea come spettacoli del genere facciano bene alla città, rammaricandosi per la scarsa presenza di urbinati in un teatro comunque pieno.
Finardi dopo qualche minuto compare all’ingresso per firmare autografi e dialogare ancora un po’ con il suo pubblico. Spende parole di apprezzamento per il teatro Sanzio che lo ha ospitato per la serata: “E’ uno dei miei posti preferiti in Italia. Lo si vede subito arrivando ad Urbino. C’è il Palazzo Ducale che va verso il cielo mentre il teatro è radicato a terra, come un presidio dell’arte”. E’ stata la sua seconda volta ad Urbino, dopo il concerto del 2012, ma forse questa volta non ha lasciato solo il ricordo di una bella serata, ma pensieri profondi su cui poter riflettere.