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L’ultima lettera di Maria Rosenzweig al figlio

di    -    Pubblicato il 27/01/2015                 
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Pubblichiamo la lettera di Maria Rosenzweig al figlio Giorgio, scritta il giorno della sua morte nell’eccidio all’aeroporto di Forlì.

COPIA TRADOTTA
Invio traduzione della lettera scritta in italiano da Pacht, nome da nubile Rosenzweig Maria, al figlio Pacht Giorgio ( a cui si fa riferimento nella dichiarazione della madre superiora Pierina Silvstri, suora delle carceri civili di Forlì).

Carcere Civile
Forlì, 13 settembre, 1944

Carissimo Giorgio, mio solo tesoro,

oggi è un mese che sono arrivata qui. La disgrazia avvenne l’otto agosto nel pomeriggio. Eravamo a Comeriziolo, in un podere a circa sei km da Sant’Angelo, in cui eravamo rimasti come sfollati per sei settimane, quando sette soldati tedeschi armati della polizia, ci hanno fatto prigionieri. Ci hanno perquisito i bauli, togliendoci tutti i documenti, le lettere, ecc. Poi ci hanno portato ad Urbania, vicino a Sant’Angelo, dove siamo stati detenuti dalla polizia fino al 12 agosto.

Siamo arrivati qui la mattina del 13 agosto, dopo una notte intera di viaggio su un autocarro. Il tuo povero padre fu portato via il cinque, di sera, con altri otto ebrei a lavorare in Germania.

Giorgio carissimo, fino a quando tuo padre era qui potevo almeno vederlo tra le sbarre guardando dalla finestra. La vera tragedia comincia quando sono rimasta qui sola, con il cuore straziato dalla pena e dalla tortura, al pensiero della fine che potrebbe aver fatto il tuo povero padre e di ciò che accadrà a me. Ci sono sette di noi qui, tutte ebree, che aspettano di essere portate via in ogni momento.

Ti sto dando tutte queste informazioni, caro Giorgio, cosicché quando la guerra sarà finita conoscerai tutti i dettagli necessari per rintracciarci o per sapere cosa ne è stato di noi.

La polizia ci ha consegnato al QG delle SS tedesche, noi ora dipendiamo da loro.

Tutte le proprietà di valore che avevamo addosso ci sono state confiscate, a tuo padre hanno preso 1370 lire e 1000 lire a me. Ci hanno tolto anche gli anelli nuziali, che noi tenevamo come sacri e come i simboli della nostra unione matrimoniale. Hanno portato via anche la sveglia che ci avevi regalato. Mi hanno lasciato una lira cosicché ho potuto comprare della frutta.

Ho aiutato tuo padre con la frutta per quanto ho potuto, ma ora, caro figlio, tuo padre è senza un soldo. Non ha né mezzi né vestiti invernali. Preghiamo solo Dio giorno e notte che ci aiuti e ci faccia ritrovare tutti insieme. Che Dio ci aiuti presto e ci salvi. Le cose sono molto tristi per noi; il mio solo desiderio ora è quello di salvare la mia vita e di trovare tuo padre sano e salvo e te carissimo figlio.

Se sarà desiderio di Dio quello di non salvarci, mio carissimo Giorgio, sarò felice se un giorno potrai venire a Sant’Angelo in Vado a trovare la nostra cara padrona di casa, insegnante, Signorina Wilma Clementi, via Zuccari n. 18. Questo spirito nobile e sua sorella Edda, sono state molto gentili con noi; ci hanno sempre aiutato e ci sono state vicine nei momenti di sconforto.

In quest’ora così grave il mio spirito è con loro e con i loro figli, e pure con il marito di Edda, Carlo. Il mio cuore è pieno di gratitudine e salute. Con Wilma sono rimaste tre scatole piene di nostre proprietà, magari è riuscita a salvare qualcosa. Forse è riuscita a tenersi le mie due pellicce, una macchina da scrivere Olivetti, un po’ di argenteria e della biancheria. Tutte le altre cose ci sono state tolte dai tedeschi, e dopo l’arresto ci è stato preso tutto quello che avevamo addosso.

A Camerigiolo, l’ultimo posto dove abbiamo alloggiato, i padroni di casa, Annibale e Augusta Bigini, erano nostri amici. Magari riuscirai a trovare anche loro a Sant’Angelo in Vado, a casa loro in piazza Garibaldi. Erano presenti quando ci hanno portato via. Ho consegnato alla Signora Augusta una scatola che ci era stata spedita da G. B. il cugino di tuo padre. Forse questa scatola è stata tenuta per te. Il Signor Annibale teneva i nostri due bauli nel suo armadio. Uno era pieno di vestiti, mentre nell’altro c’era della biancheria.

Vedrai se questi oggetti sono ancora là. Non troverai il secondo baule con i vestiti e gli oggetti di valore e neppure la borsa grande con la biancheria da letto poiché erano nel rifugio dove vivevamo. Ma troverai sicuramente tutto quello che Wilma è riuscita a tenere per te, a casa sua.

Mentre ero qui, in prigione ho consegnato due fotografie alla sorella Valeriana che con me è stata come una madre. Le fotografie sono tue, di quando eri bambino; le ho consegnato anche un diario su di te del 1925, scritto da me. Le ho dato anche una penna stilografica, un regalo che mi fece tuo padre nel 1938, una comune collana di corallo, e altre tre spille. Tieni queste cose caro Giorgio, come le ultime cose di tua madre e come ultimo saluto.

Se Dio vuole, tutto potrebbe ancora finire bene, e noi potremo ancora ritrovarci tutti insieme ed essere felici. Chiedo a Dio con tutto il mio cuore e il mio spirito questa grazia. Sono molto modesta adesso, Giorgio. Non penso a cose terrene, il mio solo pensiero è quello di ritrovare tuo padre e di poter stare ancora con te. Se Dio mi farà questa grazia sarò felice con quel poco che possiedo.

Non chiedo nient’altro, carissimo Giorgio, e spero che tu sia in buona salute e in buone condizioni. L’ultima volta che abbiamo ricevuto tue notizie è stato con il telegramma del 19 agosto ’43; il giorno del mio compleanno. Tutte le altre lettere dal luglio ’44 al dicembre ’43, ci sono state rispedite nel ’44 con un francobollo che diceva “servizio sospeso”. Abbiamo spedito alcuni messaggi attraverso la Croce Rossa. Non sappiamo cosa tu stia facendo né dove tu sia al momento, carissimo figlio.

Spero che tu sia in grande di studiare come hai sempre desiderato, carissimo Giorgio. Quando eri piccolo sei sempre stato la mia gioia e il solo scopo della mia vita. È stato il volere di Dio che ci separassimo quando eri ancora un bambino, a soli 14 anni. Sono passati più di sei anni da quando ci siamo separati. In questi anni sarai cresciuto molto, figlio mio; avrai anche sofferto, caro. Quanto sto aspettando ed ho aspettato il giorno in cui ti potrò riabbracciare.

Adesso, mentre scrivo questa lettera, e credo che il buon Dio ci farà la grazia, mi faccio coraggio e paziento. Giorgio, caro, immagino che tu sia un uomo buono e bello; come vorrei poterti vedere, forte, coraggioso e capace di crearti una vita indipendente. Vorrei vederti sposato ad una brava ragazza che sia in grado di darti la felicità che desideri. Vorrei poter vedere i tuoi figli; mi piacerebbe avere un nipotino mio.

Dio, fammi la grazia di riuscire a vivere per te e per tuo padre. Sii buono mio caro figlio e moderato in tutto. Non chiedere troppo dalla vita. Se sarai abbastanza fortunato di vivere nell’abbondanza, pensa sempre a coloro che sono poveri e sfortunati. La fortuna va e viene, così […]

Stamane ci portano via. Non so dove, forse a lavorare da qualche parte. Spero di rivederti presto, mio caro Giorgio. Ti abbraccio forte.

Tua mamma

Una copia della lettera si trova presso l’archivio ISCOP di Pesaro.

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