PERUGIA – Usa pc, cellulari, macchine fotografiche digitali e Twitter. Ma il mondo di applicazioni mobili e programmi pensati per facilitare il giornalismo non lo conosce quasi per nulla. Questo è il profilo medio dello speaker del Festival internazionale del giornalismo di Perugia.
Oggi chi si occupa di informazione non sembra essere un esperto di tecnologia, uno smanettone come verrebbe chiamato in gergo. Semplicemente ha buona famigliarità con i mezzi che comunemente già usa e una conoscenza base del funzionamento dei social network. Ma esistono anche le eccezioni a questa tendenza generale.
Gli strumenti più avanzati. Il Festival ha dato spazio anche a coloro che di app sono esperti, organizzando workshop in cui gli speaker hanno insegnato i segreti di alcune di queste al pubblico. Rosa Maria di Natale, giornalista di La Repubblica Palermo, ha elencato in un evento una lunga serie di tools utilizzabili dallo smartphone. Tra i più interessanti Audionote che permette di prendere appunti e registrare contemporaneamente o Mobile Ocr in grado di trasformare in file di testo le scritte catturate con una fotografia. Altro guru del web è Robin Good, grande sperimentatore nel campo dei media. Tra le applicazioni più utili ha citato scoop.it, strumento per selezionare news ed importarle in un proprio sito o blog, e zeef, un motore di ricerca non più basato su algoritmi ma sulla navigazione dell’utente in categorie scelte da lui stesso.
Prima l’idea, poi lo strumento. Ma i relatori che invece non usano questi strumenti più avanzati sono una netta maggioranza. A sorpresa sono gli americani i primi che lo ammettono. Mindy McAdams, docente di giornalismo digitale all’Università della Florida, insegna coding ai suoi studenti. Ma alla domanda su quale applicazioni usi più spesso la risposta è stata: “Un semplice lettore di testo è sufficiente se si conosce come funzionano i software. Al limite photoshop nel caso in cui serva lavorare fotografie”.
Marc Cooper, professore all’University of Southern California invece è ancora più netto. Lui stesso ammette di conoscere pochissimo di software e applicazioni. Ma “l’importante è capire come funzionano gli strumenti in modo da sfruttarli al meglio per comunicare il proprio messaggio”. In sostanza non si deve essere sempre aggiornati sull’ultima app uscita ma padroneggiarne la filosofia che le sta dietro.
Gli italiani intervistati sono ancora più diretti. Per fare giornalismo oltre agli immancabili computer e smartphone è indispensabile un buon paio di scarpe. Sia Alessandro Di Maio, giornalista freelance che Leonardo Romei, docente all’Isia di Urbino si rifanno alla vecchia figura del giornalista con le suole consumate.
Tool sì, solo se indispensabili. C’è poi una minoranza delle persone sentite che utilizza strumenti specifici perché il lavoro che fa glielo richiede. E’ il caso di Amalia de Simone, video-reporter di inchiesta per corriere.it. Per lei è necessario il programma di montaggio Final Cut ma anche applicazioni che permettono di fare lo stesso lavoro sul cellulare. Per quanto riguarda le riprese invece, nelle circostanze in cui serve discrezione, utilizza anche microcamere. Parlando di interessi specifici si può citare il caso di Gergo Saling, giornalista investigativo ungherese. Occupandosi di opendata fa ampio uso di strumenti che gli permettano di acquisire gli stessi dati, per esempio Propublica. Ma il giovane ungherese è anche piuttosto bravo nel costruire grafici per esporre il lavoro fatto al grande pubblico. Anche Ignacio Escolar, direttore di eldiario.es, ha raccontato di usare la piattaforma Tableau per poter gestire al meglio i dati raccolti.
Il cinguettio domina. Tra i social network è certamente Twitter il più utilizzato. Ce lo conferma Juan Luis Manfredi, professore di Comunicazione politica all’Università di Castiglia-La Mancia. In pochi minuti si può creare una rete di interazioni con persone che condividono gli stessi interessi o sono presenti a uno stesso evento. Anche Jérome Tomasini, capo del settore news e politica per Twitter Francia, lo ribadisce: “La sua forza sta nel poter raccontare cosa sta succedendo in diretta anche da parte di semplici cittadini presenti in un certo posto”
A Radio1 hanno realizzato anche un programma, Hashtag, condotto da Giulia Blasi. Come ci dice la stessa giornalista, senza Twitter non potrebbe neanche andare in onda. Il social network è la fonte principale per capire quali sono gli argomenti di tendenza da affrontare poi durante la diretta. Di parere simile è Luca Bottura che per condurre Lateral su Radio Capital fa ampio uso di Twitter. Nel flusso si possono infatti trovare numerosi spunti interessanti per la quotidiana rassegna stampa satirica.
Twitter a prima vista sembra molto semplice da usare ma in realtà per poterne sfruttare tutte le potenzialità si dovrebbero padroneggiare anche i numerosi strumenti collegati. Uno di questi è Twitonomy che permette di monitorare e analizzare il proprio account. Ma esiste anche TweetLogix se si vuole migliorare la propria ricerca su Twitter grazie a determinati filtri. Con TweetDeck invece si può organizzare la schermata in modo da poter seguire più flussi contemporaneamente e di programmare i tweet. Infine c’è Periscope, applicazione ora disponibile solo per i prodotti Apple, che permette di riprendere in diretta tramite Twitter un evento. Un’app che aumenta ulteriormente le possibilità di giornalisti e persone comuni nel riportare in tempo reale cosa sta succedendo.