Beni confiscati, il buon esempio del “Grand Hotel Gianicolo”: assunzioni per i dipendenti e bilancio in positivo

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L'ingresso del Grand Hotel Gianicolo
di DANIELA LAROCCA

ROMA – Sergio Cheli, 53 anni, receptionist. “Buongiorno signora, buongiorno signore. Avete prenotato una stanza qui da noi?”. Di fronte ad Alberto c’è una giovane coppia arrivata a Roma dagli Stati Uniti. Il receptionist rispolvera allora il suo inglese, prende un appunto, chiede i documenti.

Valentino Ulleri, 27 anni, cameriere. Le ‘regole del gioco’ sono sempre le stesse: il vassoio va tenuto diritto sul braccio. Il passo deve essere deciso ma non veloce altrimenti cade tutto. E per aprire le porta, come quelle dei saloon western, serve solo una leggera spallata.

Angelo S. Huertas Rhon, 27 anni, facchino. Borse, borsoni, beauty, trolley e zaini caricati in ascensore e consegnati nelle suite. Pochi minuti di pausa per guardare il cupolone della basilica di San Pietro in lontananza.

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Sergio, Valentino e Angelo sono dipendenti del Grand Hotel Gianicolo di Roma, l’albergo sequestrato nel 2013 alla famiglia Mattiani, calabrese d’origine e affiliata alla ‘ndrangheta della capitale. Tutti e tre, insieme a un’altra decina di colleghi, lavoravano in nero quando il tribunale di Reggio Calabria ha deciso di sequestrare l’albergo ai Mattiani. La prospettiva, a quel punto, sembrava essere soltanto una: cercare altrove lavoro. E invece le cose sono andate diversamente: non solo il Grand Hotel Gianicolo è riuscito a sopravvivere alla liquidazione, come purtroppo accade per la maggior parte delle aziende confiscate, ma ha anche assunto tutti i vecchi dipendenti con un contratto a tempo indeterminato. Inoltre, con gli eventi voluti dalla nuova direzione, l’hotel ha sanato il suo vecchio debito e produce utili, soldi utilizzati per i lavori di ristrutturazione dello stabile.

Angelo e Sergio raccontano la nuova vita del Grand Hotel Gianicolo

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L’hotel a quattro stelle sorge lungo le mura gianicolensi, in uno dei punti panoramici più belli della capitale: da qui è possibile vedere tutta Roma. Con la precedente gestione la struttura era lasciata a se stessa. “Macchie di umido, polvere, servizio scadente erano problemi con cui combattere quotidianamente”, racconta Giuseppe Ruisi, attuale direttore del Grand Hotel. La nomina di Ruisi è arrivata dall’amministratore giudiziario, Ersilia Bartolomucci, che due mesi dopo il sequestro ha deciso di sostituire il vecchio manager perché legato alla famiglia Mattiani. “Da quel momento abbiamo capito che nulla di questa struttura poteva andare perso. Abbiamo creato, con i dipendenti, un team vincente – spiega Ruisi – Ci siamo rimboccati le maniche e abbiamo trasformato questo posto”. Così, dopo aver assunto i collaboratori che non avevano regolare contratto, la direzione ha deciso di puntare sulla loro formazione con corsi specifici “o semplicemente dando loro una divisa, cosa che prima non avevano”, dichiara il direttore.

Ai 19 dipendenti storici se ne sono aggiunti altri (per un totale di 21 assunti) e al posto delle cattive recensioni sui siti di viaggi adesso i commenti di clienti lodano il servizio di qualità. “Un hotel a quattro stelle? Prima non ne meritava nemmeno due”, ammette il direttore che poi spiega i passi avanti fatti dal suo staff: “Puntiamo molto sui cocktail, sui convegni, sui matrimoni e sulle degustazioni. Tutto questo ci ha portato ad avere anche 250-300 persone per evento”. Questa “ristrutturazione prima di tutto mentale”, come la definisce Ruisi, si è tradotta in un importante riconoscimento: per due anni consecutivi, 2015 e 2016, il Grand Hotel Gianicolo è stato inserito nella guida Michelin.

Le difficoltà. Gestire un albergo è un’operazione complessa, figuriamoci gestire un albergo confiscato alla criminalità organizzata. Molti sono i limiti a cui devono prestare attenzione il direttore e il suo staff. Prima tra tutte, come stabilito nella legge 109 del 1996 che regolamenta i beni confiscati, l’impossibilità delle aziende confiscate di ricevere credito dalle banche. E cosa succede se le strutture hanno bisogno di importanti lavori di ristrutturazione? Per quelle strutture che non producono utili l’amministratore giudiziario può chiedere aiuto allo Stato mentre per le altre, come in questo caso il Grand Hotel, saranno impiegati gli utili.  “Quando il Tribunale ha preso l’immobile, il debito era di 100.000 euro. Adesso abbiamo addirittura degli utili e dobbiamo tenere sempre tutto in ordine per i continui controlli a cui siamo sottoposti”, dice Ruisi. La cura dei giardini, la modifica degli impianti elettrici che non erano a norma e la nuova linea ristorativa sono frutto dei guadagni dell’albergo.

La prossima spesa riguarderà il terrazzo con vista mozzafiato: l’amministratore giudiziario ha segnalato al Tribunale che il “roof garden” (il locale più alto della struttura) è abusivo. “Viola lo skyline del Gianicolo”, conferma il direttore che poi spiega come dovrebbe essere risistemata: “Il problema è il soffitto in legno. Dovremmo pensare a una copertura a tendaggi”. La famiglia Mattiani aveva voluto aggiungere questo ultimo piano alla struttura e per non farlo vedere ai vicini l’aveva  circondato con piante e alberi molto alti.


I danni della cattiva informazione. 
“Sigilli al Gianicolo, chiude lo storico albergo di Roma”. Così intitolavano molti dei giornali locali e nazionali il 22 aprile quando, con un comunicato stampa della procura di Reggio Calabria, si annunciava la confisca di primo grado dello stabile. Nulla di più falso. Sul sito dell’hotel si legge: “L’Hotel Gianicolo non ha mai interrotto la sua attività. Anzi, in un quadro di trasparenza e legalità, ha conquistato nuovi risultati e standard di qualità”.  Ma la cattiva pubblicità rimbalza subito sulla rete e, poche ore dopo, il direttore riceve una chiamata dal sito di prenotazione Booking.com: cancellate il 10% delle prenotazioni. Alla base dell’errore c’è un malinteso linguistico. Infatti, tutto andrebbe ricollegato alla parola “confisca” riportata nel comunicato ufficiale della Dia. “Purtroppo i giornalisti masticano poco questa terminologia e hanno pensato che fossero stati messi i sigilli all’albergo” afferma Ruisi che conclude: “Temo che la cattiva informazione possa fare più danni della mafia”.

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