di VINCENZO GUARCELLO
I coriandoli dai colori dell’arcobaleno sono sparsi, a centinaia, sulla strada. Migliaia di persone si avviano lentamente verso casa, dopo aver cantato e danzato per ore e in strada resta solo qualche gruppo di anziani, dall’aria nostalgica. Stanno fermi accanto a una decina di obelischi, che prima sfioravano i tetti spioventi muovendosi a suon di musica, e ora hanno arrestato la loro marcia: la festa è finita. Anzi no: è proprio adesso che la festa dei Gigli comincia.
LA STORIA DEI GIGLI – UNA FESTA “DI FAMIGLIA” – DAL DISEGNO ALLA BOTTEGA DEL FALEGNAME – LA BALLATA DEI GIGLI – MUSICA, SFOTTÒ E AMICIZIA –
Se Siena e Asti hanno il loro Palio, anche in Campania infatti c’è una manifestazione folkloristica che resiste allo scorrere del tempo e unisce giovani e vecchi: siamo a Barra, nella zona orientale di Napoli, un quartiere di circa 38mila abitanti che occupa circa ottomila chilometri quadrati alle pendici occidentali del Vesuvio. Qui ogni anno, l’ultima domenica di settembre, si svolge una delle feste più antiche della tradizione campana.
Il quartiere si veste a festa, striscioni e bandiere delle diverse contrade, che qui si chiamano semplicemente rioni, tappezzano i vicoli della città, giovani e meno giovani si riuniscono per gli ultimi ritocchi necessari, dopo un anno di lavoro, a dare vita l’evento clou: la parata degli Gigli. Perché qui a gareggiare non sono cavalli e fantini, bensì dei giganteschi obelischi di forma piramidale che sfilano per la città, ciascuno con un simbolo che ne indica l’appartenenza: Insuperabile, Mondiale, Formidabile, Papera, Bravi ’93, solo per citare alcune delle associazioni del quartiere che partecipano all’evento. Queste maestose strutture lignee sono sollevate in spalla da centinaia di uomini, che li innalzano al cielo e li fanno ballare al ritmo di musica.
La storia dei Gigli
Tutto iniziò nel 1822. Nata da una costola della Festa dei Gigli di Nola – riconosciuta patrimonio culturale dell’Unesco nel 2013 con altre feste folkloristiche come la Macchina di Santa Rosa di Viterbo, la Varia di Palmi, in provincia di Reggio Calabria e la Faradda di li candareri di Sassari – la festa di Barra ha alcuni caratteri originali che la distinguono dalle altre feste popolari.
Lo storico e scrittore Romano Marino ha dedicato cinquant’anni della propria vita nella ricerca di testimonianze che documentassero la nascita della manifestazione. Marino, 76 anni, ha lavorato per più di 30 al giornale Il Mattino, a Napoli ed è l’autore del libro Tradizionale Festa dei Gigli: Barra 1800-2000. Nel testo, riguardo alle prime tracce documentate della festa, Marino cita una delibera del Comune di Barra – che a quel tempo era separato dalla città di Napoli – datata 1 luglio 1822, in cui si legge:
…non si autorizza la processione di un castelletto di legno detto Giglio, in occasione della festività della Patrona di questo Comune lungo la strada principale poiché si è nell’attesa, dopo comunicazione scritta inviata alla Regia Intendenza d’autorizzazione per ordine pubblico.
“In quel caso la presenza del Giglio fu simbolica – dice Marino – dato che restò fermo nell’attuale piazza Parrocchia, a Barra. La vera nascita della festa va fatta risalire all’anno successivo, il 1823, quando l’obelisco cominciò a essere trascinato sulla strada – e non alzato in spalla, come avverrà in seguito – dai “facchini sangiovannari”, chiamati così perché lavoravano come scaricatori nel porto di San Giovanni a Teduccio. Molti di questi erano originari di Barra e, data la loro forza fisica, erano stati ingaggiati da Nola come alzatori per la loro tradizionale Festa dei Gigli. Così, nel 1823 decisero di portare questa tradizione anche nel loro comune di appartenenza, associandolo al Santo patrono di Barra, Sant’Anna”.
Dalla religione al folklore. Dal 1823 ai giorni nostri la festa si è evoluta: se all’inizio la religione era una componente essenziale, con il passare degli anni il legame con il culto si è affievolito: “La religione conta poco, anzi direi pochissimo – afferma Marino – anche se è vero che in principio gli organizzatori associarono la festa al culto di Sant’Anna, che ricadeva nel mese di luglio. Ma dopo il veto del 1822 e a causa di un’epidemia di colera scoppiata dal 1836 al 1838, la festa fu prima soppressa e poi spostata a settembre, in concomitanza con un’altra festa patronale, il Carro di Sant’Antonio. In tale occasione, si usava andare per poderi in processione dietro il carro con la statua del Santo, raccogliendo offerte e cibarie”.
Lo spostamento a settembre era dovuto anche a motivi logistici: “Fare la rassegna dopo l’estate era molto più agevole per i costruttori nolani – spiega Marino – che avevano più tempo da dedicare alla realizzazione dei Gigli barresi dopo la festa di Nola, che cade il 22 giugno, nel giorno di San Paolino. Da quel momento, la manifestazione assunse sempre più un carattere folkloristico e popolare”. Nel 1840, la Festa dei Gigli passa definitivamente all’ultima settimana di settembre, una collocazione che ha mantenuto sino ai nostri giorni. È l’inizio della “ballata” dei Gigli.
La danza degli obelischi. Il fulcro della manifestazione è la parata dei Gigli: i maestosi obelischi di legno sfilano per le vie del quartiere in festa. I Gigli, in passato trascinati di peso sulla strada, hanno un peso complessivo di oltre 25 quintali, con base di forma cubica di circa tre metri per lato.
L’elemento portante è la “borda”, un asse centrale su cui si articola l’intera struttura, divisa in sette sezioni dal basso verso l’alto (clicca per ingrandire l’immagine a lato).
Le “barre” e le “barrette” – in napoletano “varre” e “varrielli” – sono le assi di legno attraverso cui il Giglio viene sollevato e manovrato a spalla dagli addetti al trasporto. Questi assumono il nome di alzatori, o meglio cullatori – in dialetto “cullature” – nome che deriva probabilmente dal movimento oscillante prodotto simile all’atto del cullare. L’insieme dei cullatori, di norma 128, prende il nome di “paranza”.
“Borda”, “varre” e “cullatori” sono solo alcuni dei termini usati nella Festa dei Gigli, una festa che può contare su un vero e proprio glossario, con vocaboli che spiegano nel dettaglio la funzione degli elementi dell’obelisco, il ruolo di ogni personaggio e anche i comandi dati durante la ballata.
Una festa “di famiglia”
Professione alzatore. Per 12 anni Salvatore Assediato, 40 anni, installatore di caldaie, è stato uno dei “cullatori” della paranza ‘Insuperabile’: “È un’emozione immensa alzare il Giglio, nonostante fatica e sudore. Solo quando sei lì sotto – afferma – partecipi davvero alla festa. I saltelli, le manovre, le girate nei vicoli stretti… Da fuori sarà anche bello da vedere, ma fidatevi: là sotto è tutta un’altra cosa”. Lo sforzo fisico, insomma, non è un ostacolo: “Ti stanchi, è ovvio, soprattutto quando ti fermi e poi riparti perché ti si raffredda la spalla e dopo senti maggiormente il dolore. Ma non ci pensi troppo, quando sei lì vuoi solo goderti la festa”.
“I momenti più belli io li ho vissuti con la paranza Insuperabile. Ho partecipato a tantissime feste, le ho fatte tutte e non solo a Barra, ma anche a Brusciano, Casavatore e ovviamente a Nola. Il ricordo più bello? Non ce n’è uno soltanto: quando vedi la gente che ti incita a gran voce e, nonostante la fatica, riesci a completare una manovra complicata ti senti pieno d’orgoglio”, racconta Salvatore, ricordando la sua esperienza come alzatore.
Negli anni, secondo Salvatore, la festa però è cambiata: “Da qualche anno a questa parte c’è un’eccessiva competizione tra le paranze, non vedo più il rispetto di un tempo. Inoltre le regole sono diventate troppo rigide: fino a pochi anni fa non c’erano problemi di orari e la ballata proseguiva fino al mattino seguente. Oggi, invece, il comitato organizzativo ha imposto come orario di chiusura le due di notte. L’intoppo durante il percorso però può capitare e se si vuole fare la rassegna con 11 gigli poi bisogna dare la possibilità a tutti di completarlo”.
L’importanza della sincronia. Se il cullatore è il braccio del Giglio, la mente è senza dubbio il caporale. Un compito arduo ed emozionante al tempo stesso, come spiega Michele Carbone, primo responsabile dell’associazione ‘Bravi 93’, infermiere di professione e cugino di Salvatore. Cresciuto ‘a pane e Gigli’, Michele con i suoi 37 anni è uno dei capi più giovani dell’intera rassegna, un ruolo che in passato è stato anche di suo padre, Pasquale Carbone.
Pasquale, scomparso nell’ottobre 2014 a soli 62 anni, è stato un punto di riferimento per tante generazioni di giglianti e il Giglio 2015 dell’associazione Bravi ’93 è stato dedicato alla sua memoria: “Difficile non commuovermi quando parlo di lui – ammette Michele – non sarei qui senza i suoi insegnamenti. L’associazione nacque grazie a una sua iniziativa e prima ancora di mio nonno e di altri amici che oggi non ci sono più. Per un lungo periodo, dal 2002 al 2014, noi Bravi ’93 non abbiamo partecipato alla festa dei Gigli perché la competizione era diventata troppo aspra e la rivalità andava oltre il semplice sfottò tra paranze. Poi la prematura morte di mio padre ci ha spinto a tornare, a metterci in gioco e abbiamo deciso di dedicare l’edizione del 2015 alla sua memoria“.
A Michele, come a ogni caporale, rispondono circa 300 persone tra alzatori attivi e passivi, cioè quelli che stanno accanto al Giglio pronti a dare il cambio ai “colleghi” quando la stanchezza si fa eccessiva, ed è lui che, conoscendo ogni vicolo, direziona i movimenti dei “cullatori” la domenica mattina.
“Il mio compito è quello di dare gli ordini – prosegue Michele – tutti devono obbedire simultaneamente e ogni movimento ha un comando: i saltelli, le girate richiedono grande attenzione, per non parlare della posata, quando cioè il Giglio viene appoggiato al suolo. Più il movimento è secco, più è preciso, più gli spettatori apprezzano. Secondo mio cugino sono un dittatore…un po’ ha ragione – conclude Michele ridendo – in certi momenti devi esserlo, altrimenti il Giglio si inclina e c’è il rischio di incidenti”.
Dal disegno alla bottega del falegname
Progettare il giglio. Un altro aspetto affascinante della festa dei Gigli è la realizzazione di queste strutture così grandi e complesse. Ogni anno ciascun obelisco cambia, viene smontato e ricostruito da capo, il tutto con la massima cura. Un compito che spetta principalmente a due persone: il progettista, che crea il rivestimento, e il falegname, che procede alla realizzazione.
Lo scheletro del Giglio è sempre in legno, cambia invece l’aspetto esteriore, realizzato con decorazioni in cartapesta, gesso, stucchi o polistirolo. Nella scelta del tema le associazioni spaziano dall’omaggio a una tradizione o un film del passato come Il Re Leone o Moulin Rouge – a un paesaggio particolare, con omaggi a città esotiche come Bangkok , fino alla scelta di una ricorrenza da celebrare, come nel caso del 2015 con la dedica a Pasquale Carbone realizzato dalla sua ex associazione Bravi ’93.