Fusione Urbino-Tavoleto, l’esperto: “Ecco cosa cambia”

Docente di diritto amministrativo
di ISABELLA CIOTTI e JACOPO SALVADORI

URBINO – Il 13 dicembre i cittadini di Urbino e Tavoleto saranno chiamati a votare per il referendum sulla fusione dei due comuni. Il termine tecnico più adatto a definire quale potrebbe essere il futuro delle due amministrazioni è però “incorporazione”: se la Regione Marche deciderà per il “sì” – tenendo conto dell’esito del voto popolare – Tavoleto diventerà parte del comune di Urbino. Sempre il 13 dicembre, un altro referendum servirà a stabilire se il comune di Mombaroccio potrà entrare a far parte del comune di Pesaro.

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Il professor Matteo Gnes, docente di diritto amministrativo e coordinatore del Centro di ricerca sulle pubbliche amministrazioni dell’Università di Urbino, spiega cos’è e come funziona la “fusione per incorporazione” prima di andare alle urne.

Docente di diritto amministrativo

Matteo Gnes – docente di diritto amministrativo

Professor Gnes, cosa differenzia il caso Urbino e Tavoleto dalla fusione tra comuni?
La fusione e la fusione per incorporazione (cioè quella tra Urbino e Tavoleto) servono entrambe a ridurre gli enti preesistenti. Nella fusione per incorporazione (disciplinata dalla legge Delrio) il comune incorporante (cioè Urbino) assorbe l’altro e i suoi organi continuano a governare anche nel nuovo ente, mentre quelli del comune cessato (Tavoleto) decadono. La legge stabilisce però che possa essere cambiato anche il nome del comune e soprattutto che “entro tre mesi dall’entrata in vigore della legge regionale d’incorporazione, lo statuto del comune incorporante sia modificato per prevedere che alle comunità del comune cessato siano assicurate adeguate forme di partecipazione e di decentramento dei servizi”.

Ma il referendum è vincolante oppure la Regione può decidere autonomamente?
Il referendum è obbligatorio (se viene omesso la procedura è illegittima) ma il suo esito non è ritenuto vincolante per il legislatore regionale, così come non lo sono gli eventuali pareri di comuni e province.

Nel 2014 un altro referendum ha portato alla creazione del comune di Vallefoglia, nato dalla fusione tra Colbordolo e Sant’Angelo in Lizzola. Che differenza c’è rispetto all’incorporazione di Tavoleto nel Comune di Urbino?
I due casi sono differenti, anche se accomunati dalla riduzione degli enti preesistenti. Tra Colbordolo e Sant’Angelo in Lizzola, infatti, si è avuta una vera e propria fusione con la creazione di un nuovo ente i cui organi di governo sono stati in seguito eletti da tutti i cittadini del nuovo comune.

Tavoleto ha un debito di circa 80mila euro e senza l’accorpamento rischia il commissariamento. La fusione potrebbe pesare sulle tasche dei cittadini di Urbino?
Il comune incorporante assorbe anche  i debiti del comune incorporato. Va però detto che il legislatore prevede per il nuovo ente maggiori trasferimenti, oltre all’esenzione per cinque anni dall’applicazione del patto di stabilità interno. Inoltre la legge Delrio stabilisce che, anche nel caso in cui – per effetto dell’incorporazione – l’indebitamento peggiori, i comuni istituiti a seguito di fusione possano comunque utilizzare i margini di indebitamento in precedenza consentiti a uno o più dei comuni originari.

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Come nascono le fusioni in Italia?
La fusione dei comuni rappresenta uno degli strumenti che il legislatore, sin dagli anni Novanta, ha istituito per cercare di rispondere all’inadeguatezza degli enti di dimensioni minori a svolgere una serie rilevante di funzioni. Le fusioni però hanno riscosso successo solo in epoca recente: tra il 1990 ed il 2011 ve ne sono state solo 9, mentre, anche per effetto degli incentivi stabiliti dal legislatore, tra il 2012 ed il 2013 sono state avviate le procedure che hanno portato all’istituzione, dal 1° gennaio 2014, di ben 25 nuovi comuni, nati dalla fusione di 59 comuni.

Perché un comune dovrebbe scegliere di unirsi ad altri?
La fusione comporta una riduzione dei cosiddetti “costi della politica”, ma soprattutto consente di gestire in modo più efficiente i servizi (come l’asilo, la piscina comunale e così via) e di avere personale più specializzato e competente, che le realtà troppo piccole non possono permettersi di avere o di formare. A ciò si aggiungono la riduzione delle spese generali, il risparmio delle risorse per il mantenimento dell’ente (ci sarà, ad esempio, un solo bilancio), l’aumento della sua capacità contrattuale (per il suo maggior “peso”), nonché quelli, di durata però limitata, derivanti dagli incentivi statali, come l’uscita dal patto di stabilità e l’incremento dei trasferimenti statali.

Dalla fusione si può anche perdere?
Il timore più rilevante è legato al rischio per le comunità più piccole di non vedere rappresentati i propri interessi a livello comunale e, di conseguenza, di perdere una serie di servizi che potrebbero essere concentrati nel territorio che apparteneva al comune maggiore. Altro svantaggio è il costo che ogni cambiamento – anche se nel senso della razionalizzazione – comporta nel breve termine, con spese logistiche, organizzative e di formazione del personale.