Graziosi, (Anvur): “Le università sono come aziende, la ricerca dev’essere valutata”

di STEFANO GALEOTTI

URBINO – Pesare il sapere, dargli un valore, stabilire se un ateneo è efficiente o meno. Le università sono diventate grandi aziende che fatturano milioni di euro ogni anno e come ogni altro settore dell’economia è indispensabile avere strumenti per valutarle. Il presidente dell’Agenzia nazionale di valutazione del sistema universitario e della ricerca (Anvur) Andrea Graziosi, nella conferenza di questa mattina a Palazzo Battiferri, ha difeso questa scelta: “Distribuire i fondi è come tagliare la carne: prima si usava il martello, ora c’è un coltello, magari non affilatissimo, ma sicuramente è meglio di prima”.

L’Anvur nasce nel 2006 per fornire al ministero dell’Istruzione una valutazione degli atenei sulla base della quale distribuire i fondi. Da allora l’agenzia ha prodotto due documenti di Verifica della qualità della Ricerca (Vqr), l’ultimo per il periodo 2011-2014. E’ sulla base dei dati forniti dall’Anvur che il Ministero apre e chiude i rubinetti per i dipartimenti e le università: “Noi sentiamo questa fortissima responsabilità: non solo per i fondi, ma anche perché il nostro lavoro è utilizzato dai dirigenti per distribuire le risorse che ricevono” dice Graziosi, invitato dal rettore dell’Università di Urbino Vilberto Stocchi.

Il lavoro dell’Anvur ha avuto un’altra ricaduta positiva: “La ricerca ha prodotto una cascata di dati incomparabile per quantità e qualità rispetto a quelli a disposizione dei dirigenti in precedenza. Abbiamo fornito uno strumento di governance ai rettori”.  Il riferimento è alla valutazione delle singole aree di ricerca degli atenei, un dato analizzato anche da Stocchi nell’intervista al Ducato. La Carlo Bo è al 53esimo posto nella classifica degli atenei italiani stilata sulla base dei dati Anvur, con un peggioramento di 9 aree di ricerca rispetto al periodo precedente.

Un nuovo corso. Il lavoro dell’Agenzia, secondo Graziosi, riflette il cambiamento del sistema universitario italiano negli ultimi 50 anni: “Prima il sistema era molto omogeneo e limitato: concorsi nazionali per i professori e controllo sugli studenti in ingresso (solo maturità scientifica e classica). Un sistema classista ed elitario che però funzionava”. Poi le università si sono moltiplicate, il sistema è cresciuto ma si è differenziato senza un piano generale, alimentando illusioni: “Si è cercato di allargare all’infinito quello che c’era negli anni ‘40 e mantenere l’autonomia universitaria”.

Da qui secondo Graziani la deriva localistica, con scelte dettate da esigenze dei singoli atenei, corsi e professori: chi aveva più potere politico andava a chiedere i soldi. Ora i fondi vengono dati sulla base di dati oggettivi, riducendo anche la discrezionalità dei dirigenti: “Il rettore può sempre decidere di tenere fondi per un certo ambito, ma ora per ogni dipartimento ci sono dati che possono essere rivendicati”. Un corso di laurea con 29 indicatori negativi difficilmente può essere difeso da un rettore.

Quello dell’Anvur è stato un lavoro di prima mano: “Questi dati non c’erano, abbiamo dovuto estrarli come denti dagli atenei. Premendo su ministero, atenei, rettori, singoli docenti e ricercatori”. Un lavoro complicato anche dalla crisi economica scoppiata nel 2008. Invece che premiare le università virtuose, si tagliano quelle meno efficienti: “Il contesto della crisi economica si è riversato su questo strumento di valutazione”.

Graziosi ha concluso con un ragionamento sulla valutazione della ricerca scientifica, che spesso ha bisogno di anni prima di portare a risultati concreti e misurabili. “Uno studio davvero innovativo e rivoluzionario è normale che non venga capito e recepito subito. Guardiamo il lato positivo: un tempo gli innovatori venivano messi al rogo, oggi gli si riconosce lo stato di professore ordinario con un po’ di ritardo”.