di LORENZO PASTUGLIA
URBINO – Il regista Marco Bellocchio ha ricevuto questo pomeriggio dalle mani del rettore Vilberto Stocchi il sigillo d’Ateneo (il più alto riconoscimento dell’università di Urbino), per i meriti culturali e per aver contribuito a far conoscere la cinematografia italiana nel mondo. Alla cerimonia hanno assistito più di 100 persone tra autorità giudiziarie, professori, cittadini e studenti, che si sono riversati con curiosità nell’aula magna di palazzo Battiferri, presso la facoltà di Economia, per ascoltare le parole di Bellocchio.
Questa la motivazione ufficiale, citata nel discorso introduttivo di Stocchi: “Nel corso della sua attività di regista – si legge – Bellocchio ha attraversato più epoche, partecipando a quel grande fermento artistico della nouvelle vague degli anni ’60, quando si avvertiva l’esigenza di rinnovare, sperimentare, ridefinire il linguaggio cinematografico, cercando nuove prospettive da cui inquadrare la società e l’essere umano” e mantenendo “in mezzo secolo di carriera sempre un altissimo livello qualitativo”.
Commenti tecnici sui suoi film ma anche momenti divertenti, come quando il regista ha parlato della toga d’onore che indossava durante la cerimonia: “Per me è un oggetto particolare perché mi ricorda mio padre. Lui era avvocato e quando andava dal giudice la indossava sempre. Beh, è arrivata una prima volta anche per me”.
Si è parlato anche di grandi attori come Marcello Mastroianni, che ha collaborato con Bellocchio in Enrico IV, e che lo sceneggiatore ricorda con piacere: “Ha lavorato sempre con molta spontaneità e professionalità, faceva molto tardi la notte ma al mattino era sempre puntuale sul set”. Poi, un particolare sulla scena della pazzia interpretata sempre nello stesso film: “Sono rimasto molto colpito dalla sua volontà di voler recuperare la memoria. Memoria che aveva utilizzato in passato nella sua carriera teatrale. Il cinema gli permetteva di improvvisare e non era costretto ad utilizzare la memoria, ma in quella scena del film era nervoso. Mi ha colpito la sua voglia di dimostrare, da grande attore quale era, di interpretare un testo che non poteva improvvisare con la memoria lucida”.
Bellocchio ha anche sottolineato quanto sia diverso il ruolo del regista in tv dal cinema: “In televisione la figura del regista è secondaria, i grandi creatori sono chi scrive e chi interpreta. Bisogna lavorare in maniera talmente veloce che è difficile imporre la propria immagine. Il cinema ha forme di rappresentazione diverse che portano a risultati diversi dalla tv”.
In questi giorni alcuni film del regista sono stati proiettati gratuitamente al cinema Nuova luce: da Pugni in tasca a Gli occhi, la bocca, da Salto nel vuoto a Vincere fino a Fai bei sogni. L’intervento del tre volte vincitore del “David di Donatello” e del sei volte “Globo d’oro” è stato inserito ne l’Intervallo delle cose, il festival sulla cinematografia che si è tenuto a Urbino dallo scorso lunedì fino ad oggi e organizzato da “La Ginestra”. L’associazione culturale vede come presidente Giovanna Errede e nel comitato scientifico il professore Roberto Danese, la professoressa Alessandra Calanchi, il poeta e professore di “Letteratura Italiana Contemporanea e Cinema”, Salvatore Ritrovato, e il regista Andrea Laquidara.
Proprio quest’ultimo ha sottolineato quanto il cinema e lo stile del regista piacentino siano importanti e particolari: “Bellocchio ha l’esigenza di esplorare dentro di sé, scava nel profondo e racconta se stesso in modo feroce, confrontandosi con personalità forti e valorizzando le tematiche sociali”. E ancora: “Sa raccontare le immagini con una composizione di inquadrature ed è difficile identificarlo con una scelta stilistica. Non è facilmente catalogabile – continua Laquidara – incarna molto bene il cinema moderno sottolineando i motivi crudi della società e della realtà. Sperimenta sempre ma non ha mai etichetta fissa, mettendo sempre lo spazio tra le cose”.
Divertente infine la scena finale con l’esclamazione di Bellocchio che, dopo aver risposto alle varie domande delle persone, ha esclamato ironicamente: “Adesso basta però che sennò si ripete sempre le stesse cose!”, facendo partire il lungo applauso.