di LORENZO CIPOLLA
URBINO – Gli italiani e i musei si cercano ma parlano lingue differenti. Una è quella dei media tradizionali che fanno parte della quotidianità da decenni e, seppur con degli alti e bassi, vengono utilizzati dalla maggior parte della popolazione. L’altra è la lingua dei social network, recente e diversa nella forma e nel modo in cui arriva ai destinatari (un terzo degli italiani). Nonostante questo, l’interesse degli italiani per la cultura dà segnali confortanti, infatti nell’ultimo anno sono aumentati del 7% i visitatori dei musei, contando sia chi li visita spesso (28%) e chi occasionalmente (46%).
È quanto emerge dallo studio Informazione e patrimonio culturale. Come si informano gli italiani, come comunicano i musei dell’Osservatorio News-Italia del Laboratorio di Ricerca sulla Comunicazione Avanzata. «Un focus sulla cultura a cui abbiamo aggiunto un’indagine qualitativa dei musei italiani» lo descrive la direttrice del team di analisti Lella Mazzoli. Un lavoro presentato oggi al Festival del Giornalismo Culturale 2017 di Urbino nel corso di un incontro nella Sala del trono di Palazzo Ducale con Giorgio Zanchini, giornalista radiofonico della Rai e direttore del Festival, Peter Aufreiter, direttore della Galleria Nazionale delle Marche, Francesca Spatafora, direttore del Polo archeologico Antonino Salinas di Palermo, e con il critico letterario Carlo Ossola.
Media mainstream vs social media
I dépliant dei poli museali e i servizi trasmessi sul piccolo schermo fanno ancora scattare la molla per andare a visitare un luogo di cultura. Gli italiani trovano più notizie culturali sui materiali promozionali delle gallerie e nei programmi televisivi rispetto ai quotidiani, ma ne vorrebbero ancora di più in televisione, un ‘luogo’ dove ancora un certo modo di raccontare e spiegare l’arte e la cultura affascina. I profili social dei musei – gli ultimi arrivati – sono usati molto poco e non risulta una maggior richiesta di notizie su queste piattaforme. In più colpisce il riscatto della radio, uno dei media più ‘antichi’: rispetto al 2014, quando era usata nel 44% dei casi per avere notizie di cultura, è salita al 62% dei casi. “La radio è capace di reinventarsi. Penso alla radiovisione – essere in diretta sui social mostrando la redazione – alla radio viene in mente di fare televisione” spiega Mazzoli. Ma non è tutto così pacifico anche nel mondo delle onde medie, osserva Zanchini: «C’è solo un programma di approfondimento nella classifica dei primi 15 programmi più seguiti».
Infogram
Nell’informazione culturale online, rispetto al 2014 si registrano forti aumenti nella consultazione dei siti dei giornali, che arriva al 48% con nove punti percentuali in più, degli aggregatori di news, che dal 12% arrivano al 44 e di Facebook, sia nel seguire i consigli degli amici (41%, +21% sul 2014) sia dell’applicazione Facebook pro, passata dal 14% al 33%. Rispetto al 2016 cresce l’utilizzo di Facebook, Instagram e Pinterest per informarsi sui musei. Il social di Mark Zuckerberg sale di 7 punti percentuali arrivando al 28%, l’applicazione per cellulare dal 5 al 9% e la community fotografica dal 4% all’8. Amici e parenti hanno un ruolo predominante nell’indirizzare le scelte culturali. “Seguiamo le persone più vicine a noi perché riscontriamo una maggior affinità culturale rispetto ad altre figure come i giornalisti”, illustra la professoressa Mazzoli.
Ma cosa interessa agli italiani? L’aspetto del lifestyle è tutt’altro che marginale: viaggi, turismo e cibo sono i più ricercati (80%) I ristoranti, insomma, hanno scalzato i musei. Il ‘padrone di casa’, Aufreiter, è ben conscio di come sia diversa oggi la tipologia del visitatore, più vicina a quella del turista: «Il visitatore di oggi vuole anche buon cibo e non solo. La mia strategia è quella di essere attrattivo su più livelli, infatti organizzo eventi musicali e mostre di vario tipo. Soprattutto deve attirare l’attenzione di un nuovo pubblico, di chi solitamente non si interessa ai musei» dichiara il direttore austriaco.
I musei e la comunicazione: cosa funziona e cosa no
I luoghi di cultura hanno la loro parte di responsabilità in questa situazione. L’utilizzo dei social per promuovere la propria immagine è molto recente e sono molto rari comunicatori museali con una formazione mirata e competenze specifiche. «Questo personale non deve per forza avere esperienze lavorative museali, molti professionisti della comunicazione provenienti dalla grande distribuzione conoscono tecniche mai usate nei musei – spiega Mazzoli – e grazie alla riforma del ministro Franceschini, che concede maggior autonomia, i direttori possono investire di più sulla comunicazione». Il Museo dell’Opera del Duomo di Firenze ha «triplicato o quadruplicato il numero di visitatori in pochi anni» conferma la social media manager Alice Filipponi e ha sviluppato tre applicazioni, tra cui “Museo Duomo” che consente una visita virtuale tra le opere. Bisogna anche fare di necessità virtù, poiché acquistare spazi pubblicitari in televisione ha un costo elevato. Il Museo Salinas di Palermo non dispone di un grande budget e lavora molto sui social. «Lo storytelling ha un ruolo fondamentale, raccontiamo le nostre collezioni in modo accattivante e con un pizzico d’ironia e alla prima riapertura al pubblico di un terzo del museo, chiuso per restauri dal 2009, abbiamo avuto un incremento del 30%» spiega Spatafora. Mi piacerebbe poter avere spazi pubblicitari in televisione – asserisce Aufreiter – ma qui a Urbino funziona molto il passaparola. La comunicazione non è uguale per tutti i musei».
articolo aggiornato il 12 ottobre 2017 alle 21:10