di MATTEO MARIA MUNNO
La maglia azzurra al Mondiale ci sarà. Non a quello che si giocherà in Russia dal 14 giugno al 15 luglio 2018, ma a quello che si terrà a Guadalajara, in Messico, dal 24 ottobre al 5 novembre 2018. In campo scenderà la Nazionale Italiana Calcio Amputati. Un viaggio partito nel 2012 da Correggio, in Emilia Romagna. Francesco Messori, classe 1998 e attuale capitano della squadra, è stato il motore di un movimento sportivo che in Italia, al momento, non ha un campionato regolamentare a differenza di altre realtà europee. Tra le fila della nazionale militano anche Lorenzo ‘Lollo’ Marcantognini – che a 15 anni è il più giovane della squadra – e Luca Zavatti, che ha conseguito il patentino adatto per allenare squadre di calcio ‘tradizionali’.
LA NASCITA DEL CALCIO AMPUTATI – – LE REGOLE – IL CALCIO AMPUTATI NEL MONDO – “IT’S ONLY ONE LEG LESS”: IL SOGNO DI FRANCESCO – DI FIGLIO IN PADRE: LA STORIA DI LOLLO E PAOLO – SONO UN ALLENATORE NORMALE, COME TUTTI
La nascita del calcio amputati: la sfida di Don Bennett
“Se posso sciare con una gamba sola, perché non giocare a calcio?”. Nei primi anni ’80, a farsi questa domanda, è Don Bennett, un imprenditore e amante dello sport che viveva a Seattle. Bennett ha perso la gamba destra – dal ginocchio in giù – in un incidente in barca nell’agosto del 1972. A dicembre dello stesso anno è tornato sugli sci allenandosi con un istruttore amputato. Bennett non molla, e dieci anni dopo la perdita della gamba, scala il monte Rainier (4.392 mt) nello stato di Washington: con la scalata diventa il primo ad aver conquistato la cima americana con le stampelle, senza indossare una protesi. Uno spirito battagliero che ha ideato, nello stesso periodo, il calcio per amputati.
Nessun amputato si sentirà mai uno storpio. Don Bennett
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Le regole del gioco
Il calcio per amputati, come si legge dal sito della World Amputee Football Federation – federazione mondiale di categoria – non è molto diverso dal calcio tradizionale.
I giocatori in campo sono sei, e sono considerati ‘amputati’ dalla caviglia in poi. Il portiere, settimo giocatore in campo, ha un’amputazione che parte dal polso. Per poter giocare in campo sono necessarie delle stampelle, parte integrante del sistema di gioco. A tal proposito la WAFF nel congresso di Crespo (Argentina) nel 2010 ha regolamentato l’uso di stampelle ‘avambraccio’ in metallo, uniche a essere ammesse nelle competizioni ufficiali. Sull’utilizzo delle stampelle ci sono alcune regole specifiche: ad esempio è ammesso il contatto accidentale con il pallone, ma non possono essere utilizzate per dare direzione al pallone, che corrisponde agli standard FIFA.
Il regolamento federale è il primo ad aprire le porte all’inclusione perché contempla anche il gioco con un non amputato. In questo caso si dovrà giocare con le stampelle e senza una scarpa, evitando il contatto tra piede scoperto e il terreno di gioco. Il portiere con due gambe, invece, dovrà giocare con una sola mano.
La federazione, inoltre, contempla anche un’altra modalità di gioco, più semplice da organizzare: si gioca 4 contro 4, tre giocatori e un portiere. Questa modalità, spiega la WAFF, intende far giocare insieme “sia amputati che giocatori con problemi fisici alla nascita”.
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Il calcio amputati nel mondo
L’organo internazionale principale per il calcio amputati è la World Amputee Football Federation (WAFF), nato ad agosto 2005 nella prima assemblea mondiale sulla disciplina organizzata in Brasile, a Niteroi. Nell’occasione, a fondare l’organo principale dello sport sono stati i rappresentanti di Argentina, Brasile, Inghilterra, Russia, Stati Uniti, Ucraina e Uzbekistan.
Nello statuto della WAFF – composto da 20 articoli – sono contenuti gli obiettivi della federazione, le regole del gioco a livello internazionale e la regolamentazione dei diritti radiotelevisivi.
In 13 anni di storia, la WAFF ha aumentato i propri ranghi: ad oggi, ogni continente del mondo può contare su più di una squadra, e ognuna ha un proprio rappresentante ai congressi federali organizzati di volta in volta in una nazione differente. Tra i 45 paesi iscritti alla federazione, secondo Don Bennett, a dare l’esempio sono i membri del continente africano: “Nel continente – spiega – ci sono oltre 500 squadre, e c’è molta diffusione del gioco anche tra le donne”.
Proprio la diffusione del calcio amputati tra le donne è uno degli obiettivi che il fondatore del gioco intende perseguire: “Mi piacerebbe avere una nazionale femminile per ogni paese membro – dice Bennett – oltre ad essere presenti alle Paralimpiadi del 2020”.
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Il calcio amputati in Europa
In Europa il numero dei paesi rappresentati da una selezione nazionale non coincide con il numero di campionati ufficiali dedicati alla disciplina. Il calcio amputati, nonostante questo gap, è riconosciuto dalla UEFA ed è regolamentato dalla European Amputee Football Federation (EAFF), federazione che unisce i paesi europei membri della WAFF e organizzatrice della competizione europea che consente – tramite piazzamento – l’accesso al Mondiale da 24 squadre. Attualmente al vertice della federazione europea c’è l’irlandese Simon Baker.
Uno degli obiettivi principali della EAFF, come illustrato da Baker in più occasioni, è quello di creare una sinergia con i club professionisti: “Per giocare – ha spiegato Baker nel corso dello UEFA Champions Festival del 2016 – tutto ciò di cui abbiamo bisogno è un po’ di spazio aperto, una palla e alcune stampelle. Il problema più grande per noi è che alcuni giocatori devono viaggiare anche sei ore per allenarsi, quindi speriamo di lavorare con club e associazioni per creare campionati all’interno di questi paesi”.
Il calcio amputati in Italia
La Nazionale Italiana Calcio Amputati è in campo dal 2012, quando il presidente del Centro Sportivo Italiano Massimo Achini, ha coronato ad Assisi il sogno di Francesco Messori, oggi capitano degli azzurri. Da quest’anno la Nazionale è sotto l’egida della Federazione Italiana Sport Paralimpici e Sperimentali.
La squadra non ha una sede fissa per sostenere gli allenamenti, e i giocatori si riuniscono ogni mese in un luogo diverso d’Italia, per facilitare gli spostamenti. Per arrivare preparati al raduno mensile, i giocatori si allenano con squadre ‘tradizionali’ della loro città di provenienza, in quanto in Italia non esiste un campionato ufficiale con le regole WAFF.
I ritiri della Nazionale sono inoltre un’occasione per diffondere il messaggio della squadra: spesso le amministrazione comunali delle città dove la Nazionale si allena ospita convegni o incontri con alcuni giocatori della squadra.
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“It’s only one leg less”: il sogno di Francesco
“È solo una gamba in meno”. Questa frase, in inglese, è impressa sulla pelle di Francesco Messori, il capitano della Nazionale Italiana Calcio Amputati. “È senza dubbio il mio motto, la mia risposta verso chi pensa che sia un ‘poverino’ senza conoscermi”.
Non avere una gamba per me è una caratteristica, un mio punto di forza Francesco Messori
Francesco vive a Correggio, ha 19 anni e vuole frequentare la facoltà di scienze motorie di Bologna. Una passione, quella per il calcio, che lo contraddistingue e che ha superato la condizione di amputato. “La mia passione per il pallone l’ho coltivata fin da piccolo. Ho cominciato a giocare con la protesi – racconta – ma dopo un po’ ho capito che non ero io”.
La straordinaria normalità di Francesco è fulminea come una giocata di classe sul campo: “Non ho mai sentito la mancanza di qualcosa che non ho mai avuto. Ho continuato a giocare con le stampelle: il problema era che con i miei compagni della Virtus Correggio potevo solo allenarmi, non giocare. Così fino al 2012, quando ho incontrato il presidente del Centro Sportivo Italiano Massimo Achini. Ha cambiato le regole per permettermi di scendere in campo. Ero contento di quanto c’era, ma non ero del tutto soddisfatto: il mio vero sogno era quello di confrontarmi con persone come me”.
Un sogno che è passato attraverso i social: “Avevo creato un gruppo Facebook (Calcio Amputati Italia) nel 2012 per cercare ragazzi come me, dove scrissi qual era il mio sogno. Oggi esiste ancora, non è aggiornato ma è un ricordo del nostro percorso. Al primo appello eravamo in cinque. Pian piano siamo aumentati e abbiamo potuto creare una squadra: a dicembre 2012 eravamo in dieci. Il Centro Sportivo Italiano ci ha ‘adottato’ ed ha creato la squadra, facendo partire la nostra avventura azzurra. Siamo stati al Mondiale in Messico nel 2014, e ci ripeteremo quest’anno a Guadalajara, nel nostro secondo mondiale”.
Il sogno di Francesco, nel giro di pochi anni, ha fatto il giro d’Italia, e molti ragazzi hanno scelto di scendere in campo: “Il nucleo della Nazionale è rimasto lo stesso, stanno arrivando rinforzi: ragazzi che ci tengono davvero, e di questo c’è solo da essere contenti. Diventa difficile solo per il mister – scherza – perché dovrà fare una selezione più dura”.
Orgoglio e pregiudizio
Rivestire il ruolo di capitano ed essere ‘responsabile’ di qualcosa di coinvolgente come la Nazionale inevitabilmente comporta delle responsabilità, che Francesco non intende dribblare: “Sono orgoglioso di quello che ho creato, grazie al supporto della mia famiglia che non mi ha mai nascosto da nessuno. So di aver creato una cosa che ha cambiato la vita a molte persone”.
Sono convinto che il calcio sia il canale principale attraverso il quale eliminare pregiudizi Francesco Messori
Per Francesco, infatti, la situazione di paradosso che vive il calcio amputati in Italia è legato proprio ai pregiudizi sullo sport per disabili: “Questo cortocircuito è dovuto ad una poca sensibilità del nostro Paese. Altrove, in Europa, non avviene in maniera così evidente. La Turchia in questo settore da l’esempio. Qui – spiega – stiamo lavorando per avere strutture dedicate e poter diffondere la nostra realtà. Sappiamo che non è facile – ammette – è uno degli sport per disabili più estremi che c’è. Mettersi sulle stampelle e correre dopo un episodio traumatico non è per niente facile. In questo momento però sono fiducioso sulla costituzione di un campionato. Damiano Tommasi, con l’Associazione Italiana Calciatori, ci sta affiancando in questa battaglia, oltre ad averci riconosciuto come calciatori a tutti gli effetti. Il movimento sta crescendo e di strada se ne farà”.
Un passaggio importante, in questo senso, è l’affiliazione alla Federazione Italiana Sport Paralimpici e Sperimentali: “Ci dispiace aver lasciato il CSI: siamo nati con loro e la federazione ha fatto più di quanto poteva. Il passaggio in FISPES – spiega il capitano – ci permetterà di concentrarci per puntare a presentarci alle Paralimpiadi del 2020 o del 2024 come sport sperimentale. Essere riconosciuti nelle Paralimpiadi darà lustro al movimento: ci sono tanti tipi di calcio nella kermesse, manca il nostro”.
Messori, però, ha ancora un sogno nel cassetto: “Il sogno della Nazionale l’ho realizzato: il prossimo è quello di diventare professionista. È il sogno di molti di noi: non per i soldi che vedono i giocatori di Serie A, ma per sentirci legittimati nel giocare il nostro calcio e far sì che veniamo considerati anche noi. Il sogno passerà anche dal Mondiale”.
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Di figlio in padre: la storia di Lollo e Paolo Marcantognini
Lorenzo ha 15 anni, vive a Fano e non ha parte della gamba sinistra. È nato senza tibia e a 2 anni ha subito l’amputazione dell’arto. Lorenzo veste la maglia azzurra, ed è uno degli attaccanti della Nazionale Italiana Amputati: non è solo il più giovane della squadra, ma è uno dei ‘veterani’, perché è nei ranghi sin dalla fondazione.
“La mia avventura azzurra – racconta – è iniziata grazie a mia sorella Alice. Su Facebook trovò il gruppo creato da Francesco Messori, che invitava ragazzi amputati per una grande partita contro giocatori normodotati. La sfida si giocò a Correggio, nel 2012, pochi mesi prima della nascita della Nazionale. Io ero molto piccolo, ed ero anche dubbioso: ma con la mia famiglia abbiamo deciso di andare. Sul campo ho incontrato Francesco che mi ha parlato del suo sogno: quello di una squadra che rappresentasse i ragazzi amputati d’Italia su un campo da calcio. Il suo sogno un po’ è diventato anche il mio, e per viverlo devo ringraziare la mia famiglia – papà Paolo, mamma Barbara e Alice – Non sono un calciatore stipendiato, e loro fanno molti sacrifici per starmi dietro e supportarmi in ciò che faccio. Credono in me, anche se a volte vogliono mettere l’asticella ‘più in basso’, e io cerco di dimostrargli che sento di avere qualcosa in più”.
A Correggio, però, è scattato qualcosa anche per Paolo, il papà dell’attaccante fanese: “La forza di far tutto con il sorriso ce la da Lorenzo. Quando ci ha parlato del post, abbiamo subito appoggiato la sua voglia di provarci. Eravamo curiosi: trovammo cinque ragazzi, e da lì è nato tutto”.
Vederli scendere in campo e calciare con le stampelle è magico Paolo Marcantognini
Il ‘ritardo italiano’ del calcio amputati
Un percorso, quello azzurro, che oggi Lorenzo e Paolo – di figlio in padre appunto – percorrono insieme, con obiettivi e impegni diversi. “Mi sono messo a disposizione del movimento – racconta Marcantognini senior – e con il passare degli anni abbiamo organizzato qui a Fano la prima partita internazionale del calcio per amputati contro la Polonia. Quest’anno ci siamo tolti la soddisfazione di organizzare la prima edizione della Coppa della Fortuna, invitando la Turchia e la Francia. Quest’anno il calendario è molto più ricco e si è esteso in altre parti d’Italia”.
Una soddisfazione arrivata dopo molte difficoltà: “Questo tipo di calcio in Italia è sconosciuto – continua Paolo – e le difficoltà per organizzare qualcosa sono tantissime. Prima di tutto recuperare dei fondi: non ci si espone per qualcosa che non si conosce. Dopo il primo impatto, invece, in molti appoggiano queste iniziative, anche economicamente. In Italia siamo un po’ più indietro rispetto ad altri paesi. Un esempio – prosegue – è legato all’organizzazione della Coppa della Fortuna. Una delle preoccupazioni principali era lo stato del campo dopo le partite con le stampelle. In Turchia, invece, le partite si giocano negli stadi dove vengono disputate anche partite di Champions League. Questo atteggiamento, però, sta cambiando pian piano – sorride – basta avvicinarsi alla disciplina. Va vista dal vivo per capire e non dietro uno schermo”.
Paolo inoltre è impegnato, con il resto dello staff azzurro, a mettere insieme il vivaio della Nazionale: “Per ora abbiamo reclutato una decina di ragazzi, però ancora si fatica a trovare posto per farli giocare e ampliare l’attività, che è importante per le famiglie e per i calciatori. A me è rimasta impressa una storia – racconta – un bambino ha abbandonato il girello per giocare un weekend, e i suoi genitori hanno pianto tutto il tempo mentre vedevano il suo impegno in campo. Per loro vedere il figlio fuori casa è stata una bella cosa. Con poco si può far molto, e la Nazionale si sta spendendo molto per le giovanili, anche se non abbiamo ancora una sede fissa”.
Difficoltà che per il figlio Lorenzo hanno un motivo preciso: “Questo ‘ritardo italiano’ è dovuto al fatto che si crede poco e si investe meno nello sport per disabili. Un piccolo stimolo a volte fa nascere belle cose”.
Lo sport è una medicina perché permette di rifugiarsi dalle difficoltà Lorenzo Marcantognini
“Quando siamo stati ad Appiano Gentile, ospiti dell’Inter – prosegue Lorenzo – molti giocatori sono rimasti in campo con noi di loro spontanea volontà. Luciano Spalletti invece ci ha detto che tornerà presto a vederci perché abbiamo lasciato il segno. Siamo stati anche a Pegli ad allenarci con il Genoa – prosegue Lorenzo – la Serie A ci sta aprendo le porte, e si può fare di più. Il mondiale ora ci darà modo di dimostrare la forza del calcio amputati italiano”.
Un modello ‘per caso’
Per Paolo e Lorenzo il futuro passa dai giovani e dalle Paralimpiadi: l’EAFF – l’equivalente della UEFA nel calcio amputati – ha scelto Roma per organizzare un camp dedicato a giovani calciatori amputati europei. “Sarà il terzo camp europeo – illustra Paolo – dopo il primo in Irlanda e il secondo a Varsavia, in Polonia. Eravamo in ‘competizione’ con la Turchia, e siamo stati scelti. È una bella occasione per il movimento giovanile”.
Un movimento che inevitabilmente vede in Lorenzo un modello: “Sento un po’ di responsabilità ma non la faccio mia, non mi sento in grado ancora di poter dare un esempio. Non voglio fare il ‘prepotente’ – sorride – dicendo di essere un modello, perché non interessa essere in bella vista. Se qualcuno mi vede come un esempio, sono contento. Al futuro non ci penso perché vivo ogni momento al massimo. Penso a quali obiettivi pormi e a dove arriverò con la Nazionale e da solo. Non mi piace racchiudermi in una sola specialità: mi piace affrontare la vita in tanti modi, e il calcio è il modo che preferisco”.
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“Sono un allenatore normale, come tutti”
Non sono pochi i calciatori che una volta terminata l’attività agonistica decidono di vestire i panni da allenatore: questo è accaduto anche a Luca Zavatti, giocatore della Nazionale Italiana Calcio Amputati e primo allenatore amputato d’Italia. Zavatti ha conseguito il patentino da allenatore UEFA di livello B, che gli consente di allenare fino alla Serie D come primo allenatore e fino agli Allievi Nazionali a livello giovanile.
Luca, prima della Nazionale Amputati, ha avuto un lungo passato da semi-professionista nell’Agro Pontino: “Ho perso la gamba il 18 luglio del 2011, a 43 anni. Sono stato in coma sei giorni, e non ho perso la voglia di ripartire. Venivo da un periodo particolare della mia vita – ricorda Zavatti – l’incidente mi ha dato una scossa. Ho reagito subito bene, e sono ripartito alla grande grazie allo sport e ai valori che mi ha trasmesso il calcio. Dopo dieci mesi ho avuto un periodo in cui il dolore va vissuto, è un passaggio fondamentale: far finta di niente non è sano. La mia famiglia è stata fondamentale, pensa che in riabilitazione ho conosciuto mia moglie, che è stata la ciliegina sulla torta. Ho incontrato Francesco Messori a Lenola nel 2012, nel corso del secondo ritiro del calcio amputati italiano, a 13 mesi esatti dal mio incidente. Da lì ho vestito la maglia azzurra, e il Mondiale 2014 in Messico è stato il mio traguardo sportivo più bello. Il mio sogno era la maglia azzurra e se non avessi perso la gamba non l’avrei potuto coronare. Da un evento negativo sono nate tante belle cose.
Come tutti, anche Luca ha frequentato il corso da allenatore a Coverciano, organizzato nel luglio 2017: “Damiano Tommasi, nostro grande estimatore, mi ha proposto di aggregarmi al corso. Erano rimasti due posti su 62, che sono assegnati a me e Fabiana Costi, una giocatrice di Reggio Emilia. Entrare a Coverciano – racconta Luca – è stata una bella emozione, e stare con ex giocatori di Serie A come Cristian Ledesma, Nicola Pozzi o Javier Chevanton è stato molto importante per me, perché hanno molto da trasmettere. Con loro mi sono allenato con le stampelle – spiega – e e sono rimasti colpiti dal mio modo di giocare”.
La trafila di Zavatti però non è finita: dopo Coverciano il prossimo step è stato Trigoria – dove si allena l’AS Roma – per completare le ore necessarie per accedere all’esame: “Ero nello stesso corso di Francesco Totti e Simone Perrotta. Francesco ha dovuto lasciare dopo pochi giorni per alcuni impegni, ma ho avuto modo di scambiare alcune battute con lui, era molto impressionato dal calcio amputati”.
L’esito dell’esame – che si è tenuto dal 14 al 16 dicembre 2017 – è stato ufficializzato a marzo 2018: “Mi sono sempre chiesto – ricorda Luca – cosa sarò in grado di trasmettere ai ragazzi. Ho avuto la possibilità, grazie alla scuola calcio di Maurizio Silvestri, di potermi mettere alla prova con alcuni bambini, e la loro reazione è stata una grande spinta per me. Solo il tempo dirà se sarò un bravo allenatore: un conto è stare in campo con la Nazionale, e un conto è allenare. Sono pronto a questa nuova sfida dalla panchina: sono un allenatore normale, come tutti del resto”.
Un allenatore normale – come si definisce – con un sogno speciale: “Il mio sogno è aprire una scuola calcio tra Latina e provincia per poter permettere a chi non può tra motivi economici o per la disabilità – di poter giocare e passare qualche ora in libertà, fuori di casa, perché so quanto lo sport faccia bene a tutti.”.
Questo servizio è un Progetto di fine corso per il biennio 2016-2018 dell’Istituto per la Formazione al giornalismo di Urbino (IFG), pubblicato il 28 marzo 2018