Beni confiscati, il rudere della banda della Magliana a Cupramontana trasformato in un centro per utenti con disagio psichico

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di MARTINA NASSO
foto e video di NICOLA PETRICCA e DANIELA LAROCCA

Cupramontana è un paesino arrampicato sulle colline del Verdicchio, in provincia di Ancona. Qui, in contrada Tufi, c’è un podere costruito sulle macerie di una delle bande criminali più famose e sanguinarie degli ultimi decenni, la banda romana della Magliana, organizzazione responsabile di decine di omicidi e al centro di un fitto intreccio politico-eversivo-mafioso.

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La terra e un rudere mai completato furono confiscati nel 2004 al cassiere della banda. Il comune di Cupramontana si mise subito al lavoro e oggi, su quel terreno, è nato un solido monumento alla legalità: ci sono una comunità alloggio per utenti con disagio psichico e un orto sociale.

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Dal 2012 Libera, l’associazione contro le mafie, vi organizza un campo di volontariato estivo. Una settimana dedicata al lavoro della terra, alla scoperta della storia del podere, ma anche ricca di dibattiti sulla legalità e la lotta alle mafie. Durante il campo del 2013 a Podere Tufi è avvenuto qualcosa di straordinario. Uno dei fondatori della banda della Magliana ha accettato di parlare ai giovani volontari di Libera e ha incontrato la figlia di un avvocato catanese ucciso dalla mafia. “Il loro scambio è stato davvero emozionante – ricorda Filippo Cingolani, coordinatore di Libera Jesi – eravamo una trentina ad ascoltare Antonio Mancini, l’ex bandito che oggi ha una nuova vita. Vederlo lì, sulla terra che era della mafia e che ora è gestita da chi la mafia la combatte,mentre dialogava con una persona alla quale la mafia ha tolto un padre, ci ha dato un grande senso di speranza”.

Ecco come è cambiato Podere Tufi. Scorrendo con la tendina si può vedere il vecchio rudere di Nicoletti e la nuova struttura voluta dal Comune e dalla Vivicare

La storia di Nicoletti e il rudere a Cupramontana. Inizio degli anni ‘90. È questo il periodo in cui Enrico Nicoletti, il cassiere della banda della Magliana, investe i suoi soldi per l’acquisto di una proprietà in Contrada Tufi. Per non destare sospetti si serve di un prestanome al quale fa intestare i 28.000 metri quadrati di terreno. Qui vorrebbe costruire un podere per far fruttare il suo denaro o solo per passarvi del tempo.  Da giovane Enrico Nicoletti era un carabiniere ma, lasciata la divisa, era diventato esperto in estorsione e riciclaggio. Poi la grande e sanguinosa avventura con la banda della Magliana.

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Nel romanzo di Giancarlo De Cataldo e nella fiction sulla banda, Nicoletti è il Secco. Il suo compito era quello di reinvestire il denaro derivato dall’attività criminale e farlo fruttare, per questo venne definito “il cassiere” della banda. Ma Nicoletti ha avuto un ruolo molto più importante. Negli anni ’70 e ’80 era considerato “il re di Roma”. Una sua ditta aveva costruito la prima sede dell’università di Tor Vergata e possedeva gli ex studi televisivi De Paolis. Qualche tempo dopo, però, Nicoletti perse tutto. Tra il 1994 e il 1995 gli furono sequestrati beni per 2.660 miliardi di lire in tutta Italia. Aveva dichiarato di guadagnare 450 mila lire al mese e ha sempre negato ogni coinvolgimento con i crimini commessi dall’organizzazione criminale. La giustizia, però, ha dimostrato il contrario. Nel 1996 fu condannato a sei anni nell’ambito del maxiprocesso con cui fu messa alla sbarra l’intera banda della Magliana. Il terreno in provincia di Ancona era nella lista dei beni sequestrati al boss e nel 2004 fu definitivamente confiscato. Nicoletti non riuscì a costruire il suo podere e per anni sul terreno non rimase che uno scheletro di cemento.

La nascita di Podere Tufi. Già nel 2002 il terreno e il rudere erano diventati patrimonio del Comune di Cupramontana che si mise subito in moto per trovare i fondi necessari a realizzarvi qualcosa di utile per la collettività. Così, nel 2009, è stato dato il via libera al progetto di creare una comunità residenziale per utenti con disagio psichico e un orto sociale. A questo scopo il Comune ha sottoscritto una convenzione con la Cooperativa Sociale Vivicare e le ha concesso il bene in comodato d’uso gratuito.

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“Abbiamo sempre avuto uno scambio intenso con il comune di Cupramontana, con Libera e con il dottor Massimo Mari, responsabile del Dipartimento di Salute Mentale di Jesi – spiega Nicola Vannoni, presidente di Vivicare – e in questo modo il progetto non solo è stato condiviso, ma ha coinvolto e continua a coinvolgere in prima persona tutti questi soggetti in attività e scambi continui con la comunità e gli utenti”.

Visto che il terreno affidato a Vivicare si estende per tre ettari è nata un’altra cooperativa sociale, la “Pane e Tulipani”, che ha realizzato un orto sociale e segue progetti d’inserimento lavorativo per gli ospiti della comunità e per i soggetti svantaggiati provenienti dal territorio limitrofo.

Il sindaco di Cupramontana, Luigi Cerioni, è cosciente del numero esiguo di progetti per la collettività realizzati con i beni confiscati alla criminalità organizzata e per questo è ancora più fiero che ne sia stato avviato uno nel suo Comune: “Sono orgoglioso del lavoro svolto dalla mia amministrazione e dalle cooperative del mio territorio. La collaborazione e l’integrazione tra istituzioni pubbliche e privato sociale hanno restituito alla comunità un luogo che faceva parte dell’economia della criminalità organizzata e lo hanno fatto in tempi brevi”.

I costi del progetto. Ci sono voluti 400 mila euro, per metà finanziati dal ministero degli Interni e per i restanti 200 mila dalla cooperativa Vivicare, per avere la struttura attuale. Il vecchio rudere è stato abbattuto e ne rimane solo un basso muretto che divide il terreno dalla strada. Altre due case sono state costruite ex novo ed è lì che sono ospitati gli utenti della comunità. L’orto sociale si trova sul terreno che scende a valle, interrotto da numerose piante di ulivo e un piccolo frutteto. I primi ospiti sono entrati a Podere Tufi nel novembre del 2013.

Le attività. Accoglienza per le persone più deboli, campi di volontariato, attività agricole riabilitative, eventi sportivi e dibattiti sulla legalità. Sono solo alcune delle attività svolte a Podere Tufi. Stefano Sensoli è il coordinatore della comunità alloggio che oggi ospita tredici persone: “La nostra posizione, così vicina al paese, ci ha sempre permesso di rimanere in contatto con la cittadinanza. Appena sono arrivati i primi ospiti abbiamo organizzato una cena aperta a tutti i cupramontanesi. Eravamo più di cento”.

I contatti con il territorio sono molto stretti. Scuole e scout partecipano spesso a visite guidate organizzate per scoprire la storia del bene confiscato e della banda della Magliana e per partecipare alle attività dell’orto sociale. Oltre ad avere una valenza educativa e riabilitativa, le attività agricole sono anche un’opportunità di lavoro per alcuni utenti. I prodotti di Podere Tufi non sono solo diretti all’autoconsumo, ma anche alla vendita nei gruppi d’acquisto solidale locali. “Il prossimo passo – continua Sensoli – sarà andare a vendere i nostri ortaggi direttamente al mercato settimanale”. Podere Tufi, però, è e resta innanzitutto un bene confiscato alla criminalità organizzata. Ed è qui che entra in gioco Libera.

Dal 2012 l’associazione organizza nel terreno confiscato a Nicoletti un campo di volontariato estivo. Una settimana dedicata al lavoro della terra, alla scoperta della storia del podere, ma anche ricca di dibattiti. Quel giorno dell’estate del 2013 in cui Antonio Mancini, ha varcato il cancello di Podere Tufi per parlare ai volontari di Libera è stato un momento emozionante per tutti i presenti.


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Mancini, l’ex bandito. Conosciuto come “l’Accattone”, per la sua passione per l’omonimo film di Pier Paolo Pasolini, Mancini aveva trascorso la sua giovinezza tra furti e rapine. Poi era arrivata la stagione più sanguinosa, quella nella Banda della Magliana. Quattro omicidi e una condanna a ventotto anni di reclusione. Nel 1994 ha deciso di collaborare con la giustizia, dando una svolta alla sua vita. Oggi vive ai domiciliari in un alloggio popolare del comune di Jesi e si prende cura delle persone disabili.   Mancini è stato invitato a Podere Tufi per raccontare la sua vicenda e la tragica storia che ha insanguinato le vie di Roma. Proprio qui ha incontrato Flavia, figlia dell’avvocato catanese Serafino Famà ucciso nel 1995 dalla mafia. Nel 1999, tre uomini del clan Laudani, Giuseppe Di Giacomo, Matteo Di Mauro e Alfio Giuffrida sono stati condannati per l’omicidio del penalista siciliano. Flavia Famà racconta da anni in tutta Italia la storia di suo padre come simbolo di correttezza e coraggio.   Del rudere che Enrico Nicoletti aveva fatto costruire, oggi, non rimane che un muro. A Podere Tufi, quei mattoni sovrapposti, monumento alla memoria della drammatica vicenda della banda della Magliana, sembrano sempre più bassi e attorno a essi si costruiscono nuovi e imprevedibili legami.