Avete mai visto questo simbolo?
No? Allora è bene sapere che questo strano disegnino – conosciuto come codice QR – nei prossimi anni potrebbe apparire più o meno ovunque.
In Italia quasi nessuno li ha mai sentiti nominare. In Giappone invece si possono vedere nelle facciate dei grattacieli, la Pepsi in Danimarca li mette sul fondo delle lattine e qualche temerario all’avanguardia li ha impressi pure sulle tombe dei parenti. Attenzione: non si tratta dell’ennesima diavoleria per smanettoni ossessionati dalla tecnologia, ma di qualcosa che in certi casi può essere utile oltre che divertente. Si tratta di una specie di codici a barre a due dimensioni: basta fotografarli con un telefonino, dotato di un opportuno programma e collegato a internet, per avere accesso a qualunque tipo di contenuti.
Da qualche anno sono spuntati come funghi un po’ ovunque, al punto che nelle ultime settimane sono apparsi anche in giornali e riviste italiane. Colossi come la Gazzetta dello Sport prima, Panorama e Milano Finanza poi e ora anche Repubblica e L’espresso, hanno deciso di sperimentare i codici QR (sigla che sta per quick response, risposta rapida) per allungare la vita dei propri prodotti cartacei, da tempo in crisi di vendite.
L’innovazione è un modo per dare al lettore una serie di contenuti che non possono apparire nel giornale di carta, realizzando un vero e proprio quotidiano multimediale da acquistare in edicola.
“Proviamo a pensare alla notizia di un treno che deraglia e si schianta contro un edificio in un centro abitato”, spiega Alessio Sgherza, vicecaposervizio di Kataweb. “Sul quotidiano un fatto simile lo si può raccontare fin nei minimi particolari, ma nulla come un video dell’incidente in questo caso può soddisfare il bisogno di informazione del lettore. Le immagini possono essere meglio di mille parole”.
I codici QR sono stati inventati oltre 15 anni fa da Denso-Wave, una multinazionale giapponese. All’inizio erano impiegati nel settore automobilistico per identificare i pezzi dei veicoli. Poi hanno finito per accompagnare centinaia di prodotti, dalle t-shirt ai biglietti da visita.
A chi prende in mano un giornale recentemente sarà capitato di vedere in fondo ad alcuni articoli il simbolo quadrato. Fotografando questa specie di disegnino con uno smartphone dotato di connessione a internet e applicazione per leggere il codice (si installa in pochi minuti), è possibile accedere ad un universo multimediale di video, fotografie e suoni che fanno da approfondimento alla notizia.
“Così da mezzo statico la carta diventa dinamico”, spiega Elia Blei di Rcs Mediagroup. “E’ un modo per aumentare la diffusione dei contenuti. L’utente medio è un po’ pigro, ma con un tocco sul proprio iPhone può scoprire qualcosa che gli interessa sul serio”.
Il codice QR è un esempio di quella “realtà aumentata” di cui i media parlano da qualche tempo e con la quale ci si troverà a fare i conti in futuro. Ovvero un flusso di informazioni digitali destinato a seguire l’utente ovunque, in giro per la strada come davanti a un Caravaggio durante una mostra. In futuro probabilmente tutti faremo i conti con innovazioni del genere. D’altra parte se nei McDonald’s di Tokyo si trovano nelle confezioni di cheeseburger per conoscerne gli ingredienti, se Roberto Formigoni li ha usati sui manifesti della campagna elettorale, se Giovanni Rana li ha voluti sui pacchetti di tortellini al cioccolato, se Baci e Abbracci ci ha infarcito i cataloghi della propria linea di abbigliamento per giovani, vorrà pur dire che i codici QR servono a qualcosa. E che fanno girare quattrini, anche perché l’utilità commerciale di questi simboli è evidente: una volta fotografato il codice basta ad esempio far partire uno spot pubblicitario prima del video richiesto dall’utente.
Forse anche per questo motivo qualche giornale si limita a guardare il fenomeno da lontano. Marco Pratellesi del Corriere della Sera ne parla con distacco: “Non abbiamo mai parlato di introdurli in nessuna riunione. Per ora è solo una nicchia: staremo a vedere”. Anna Masera della Stampa spiega che il suo quotidiano ha altre priorità: “Sono cose che hanno uno scopo pubblicitario fortissimo. In futuro non escludiamo nulla, ma per il momento puntiamo a realizzare edizioni del giornale per qualsiasi piattaforma”. Poi aggiunge: “Se l’obiettivo è far vedere un contenuto multimediale pazzesco, allora questi codici ci possono stare. Ma molto spesso danno poco valore aggiunto e servono solo ad attirare pubblicità”.
Che si tratti di un prodotto destinato per ora a una nicchia di utenti è evidente. Non tutti hanno uno smartphone e soprattutto non tutti hanno il traffico internet incluso nel piano tariffario per accedere al web con il cellulare. Però è anche vero che i codici QR in Giappone e negli Stati Uniti hanno sfondato. “Nel 1997 – conclude Sgherza – anche internet era destinato a una cerchia di eletti. Poi abbiamo visto come sono andate le cose”.
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