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Spotus.it: la versione italiana del crowdfunding

di    -    Pubblicato il 27/04/2010                 
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E’ nata sabato scorso la versione italiana del sito americano di crowdfunding. A dare vita al progetto, un gruppo variegato: Antonio Badalamenti è un economista, manager e ricercatore, Federico Bo è un ingegnere informatico che si occupa di web 2.0 e social media, mentre Antonella Napolitano è social media consultant, community manager e giornalista.

Inizialmente i tre progettavano un altro genere di piattaforma. Un’idea che poi hanno preferito abbandonare. Si tratta di ToReport, anch’esso presentato appena qualche giorno fa. “Quello – precisa – è un modello business to business, il nostro è un po’ più social: sono due prospettive diverse”.

Rispetto alla versione americana, quella italiana presenta differenze di fondo e una novità: “Abbiamo ricevuto il benestare di David Cohn (fondatore di Spot.Us) ma si tratta di due entità giuridiche differenti”, dice Badalamenti. Mentre quella è appoggiata anche finanziariamente da fondazioni, in Italia ciò non accade: si è deciso di adottare una forma societaria diversa, che comunque punta ad avere sostenibilità economica. “Noi abbiamo introdotto la promessa di finanziamento”, spiega Badalamenti: ci si impegna a finanziare le inchieste giudicate interessanti, ma i soldi non vengono effettivamente versati fino a quando non viene raggiunta la cifra prestabilita. In ogni caso, se entro 60 giorni dall’inizio della raccolta dei fondi l’inchiesta non parte, i soldi vengono restituiti.

Importante sarà anche l’interesse delle testate, che possono anch’esse, come qualsiasi altro cittadino, finanziare i progetti di indagine. Se poi decidono di investire almeno il 50 per cento della cifra necessaria, oltre a occuparsi della supervisione dell’inchiesta, avranno il diritto della pubblicazione in anteprima. “Stiamo iniziando a contattare le testate, abbiamo alcuni feedback positivi. Ma il vero legame da instaurare sarà con le testate locali, per ragioni di naturale affinità”, chiarisce Badalamenti.

Ma come ci si assicura che i soldi investiti vengano spesi bene, senza sprechi? In primo luogo occorre dire che non si corre il rischio di trovarsi di fronte ad una situazione del tipo “prendi i soldi e scappa”. “Le risorse – rassicura Badalamenti – non vengono date tutte insieme all’inizio del lavoro”. La cifra viene infatti corrisposta al reporter per intero solo alla fine, e durante il lavoro questi viene affiancato da un redattore (all’inizio anche i tre fondatori svolgeranno questa mansione, insieme ad altri collaboratori) che controllerà la bontà del lavoro svolto. Inoltre ogni reporter avrà un suo blog per tenere aggiornati gli utenti-investitori. “Certo, non possiamo garantire di soddisfare tutti”, mette in chiaro Badalamenti. Ma questo non lo fanno neanche le testate più quotate e popolari.

Il sito è ancora piuttosto scarno, ma è nato da appena qualche giorno. Per ora ci sono solo due proposte di inchiesta: una sul terremoto a L’Aquila del 2009, l’altra sull’Expo di Milano nel 2015. Entrambe sono promosse da giornalisti iscritti all’Ordine, anche se questo non è un requisito vincolante per diventare ‘reporter’ di Spot.Us Italia.

“Non ci poniamo obbiettivi, il nostro è un esperimento”, conclude Badalamenti: “Abbiamo investito molto tempo e pochissimi soldi: potremmo evolverci o magari scoprire che il progetto in Italia non decolla”.

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2 commenti to “Spotus.it: la versione italiana del crowdfunding”

  1. […] con compensi professionali che molti editori non garantiscono» (interessanti in tal senso i due articoli scritti da giovani giornalisti in formazione a […]