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“Ma quali ‘Omicidi passionali’!”: rivolta Twitter contro i cliché

di    -    Pubblicato il 26/01/2012                 
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Frasi fatte, luoghi comuni, inesattezze. Parole come pietre: a volte sono sassolini, altre veri e propri macigni. Il giornalismo trabocca di questi termini inappropriati e i lettori protestano. E’ successo il 15 gennaio, quando in centinaia hanno fatto balzare nei trending topic di Twitter l’hashtag #parolecomepietre lanciato, dopo una ricerca di gruppo, da Arianna Ciccone e altre blogger e scrittrici.

LEGGI CINGUETTII COME PIETRE: LA PROTESTA SU TWITTER

Le espressioni considerate fastidiose sono tante. Da ‘tragica fatalità’ a ‘dramma della gelosia’ passando per ‘i furbetti del quartierino’. C’è anche chi, però, denuncia un utilizzo improprio della nazionalità quando viene commesso un reato.  Una ‘tradizione’ giornalistica che non solo non informa, ma che molto spesso non fa altro che legittimare e instaurare nel lettore lo stereotipo e il pregiudizio.

Come sottolinea Gi.U.Li.A.’ , (Rete delle giornaliste unite libere e autonome), con un appello ai giornalisti che chiede di smettere di utilizzare il termine ‘omicidio passionale’.

Il problema non è solo di stile e di convenzioni decise dalle redazioni, ma abbraccia un argomento più ampio: la deontologia.

SCHEDA Stereotipi e stampa europea

I SOCIAL NETWORK CONTRO I CLICHÉ. “Cosa c’è di passionale nel massacrare una donna?” E’ questo il tweet della giornalista Arianna Ciccone dopo avere letto sui giornali italiani titoli con il termine ‘omicidio passionale’.

Arriva subito l’appoggio della scrittice Michela Murgia. “Ne abbiamo approfittato per lanciare un appello ai giornalisti, visto che ormai è una moda essere su Twitter, di stare più attenti all’utilizzo di questi termini” dice Ciccone al Ducato Online. In poche ore l’hashtag supera la tendenza della domenica pomeriggio, quella televisiva con #sanremo (erano appena stati annunciati i nomi dei cantanti in gara).

Twitter può aiutare a far sì che i luoghi comuni e le inesattezze si attenuino nelle testate giornalistiche? Da tre anni in Francia è attivo AlerteCliché, creato da Yann Guégan, vice caporedattore della testata online francese Rue89 . Grazie a un algoritmo su Google News ogni giorno vengono segnalati su Twitter centinaia di luoghi comuni presenti negli articoli delle testate online francesi. “In un anno abbiamo trovato circa 2000 volte la frase ‘ciliegina sulla torta’ e ogni mezz’ora ne viene rilevato uno”, racconta Guégan.

LEGGI Il caso di Alertecliché

Oltre a Twitter, anche Facebook è un social network utilizzato per denunciare formule abusate nel giornalismo. Come questo gruppo francese dal titolo ‘Contro i luoghi comuni giornalistici. Per coloro che non ne possono più delle frasi giornalistiche come: Domani la colonnina di mercurio sfiorerà i 30 gradi’.

Anche in Italia però ci sono gruppi su Facebook che chiedono di smettere di utilizzare alcune formule giornalistiche pesanti come macigni. E’ il caso di ‘Basta dire la nazionalità di chi commette reati sui mass media’

I social network sono l’extrema ratio per regolare l’uso di termini che a volte possono anche ‘fare male’ come pietre. Ma prima dei siti web, almeno in Italia, questo compito dovrebbe essere svolto da leggi, carte deontologiche e decaloghi di redazione, ma come sostiene Arianna Ciccone, “molto di frequente, come è successo con le foto di Sarah Scazzi pubblicate dal Corriere del Mezzogiorno, non vengono assolutamente rispettate”.

LE PAROLE COME MACIGNI. ‘Caccia al rom’, ‘Schettino era con una moldava‘, ‘Omicidio passionale’ sono solo alcuni dei titoli apparsi nei giorni scorsi sulle testate nazionali. Non sempre hanno rispettato quello che è prescritto nei codici deontologici dell’Ordine dei giornalisti.

Un codice deontologico generale è la raccolta delle leggi e delle carte elaborate negli anni. Franco Abruzzo, ex presidente del Ordine dei giornalisti della Lombardia le ha raccolte in un Codice deontologico generale per la professione giornalistica.

Uno dei primi protocolli è la Carta di Treviso, formulata nel 1990 e sottoscritta dal Consiglio Nazionale dell’Ordine dei Giornalisti, la Fnsi e il Telefono Azzurro, che disciplina come i media devono trattare le notizie riguardanti i minori.

Punto dolente dalla stampa italiana è il trattamento delle notizie che vedono gli ‘immigrati’ come protagonisti. Non sempre la nazionalità è rilevante nella notizia. Può essere inserita, come citato nell’articolo 6 ‘se è indispensabile in ragione dell’originalità del fatto o della qualificazione dei protagonisti’, ma spesso la nazionalità non dà informazioni aggiuntive al lettore. Nella Carta dei doveri del giornalista sottoscritta nel 1993 si legge:

Articolo 6 – Essenzialità dell’informazione

La divulgazione di notizie di rilevante interesse pubblico o sociale non contrasta con il rispetto della sfera privata quando l’informazione, anche dettagliata, sia indispensabile in ragione dell’originalità del fatto o della relativa descrizione dei modi particolari in cui è avvenuto, nonché della qualificazione dei protagonisti.

Articolo 9 – Tutela del diritto alla non discriminazione

Nell’esercitare il diritto-dovere di cronaca, il giornalista è tenuto a rispettare il diritto della persona alla non discriminazione per razza, religione, opinioni politiche, sesso, condizioni personali, fisiche o mentali.

Per disciplinare il trattamento di notizie con protagonisti immigrati, rifugiati politici e richiedenti asilo è stata sottoscritta nel 2007 Carta di Roma. La proposta fu lanciata da Laura Boldrini, portavoce dell’Alto commissariato dell’Onu per i rifugiati, dopo l’attacco dei media verso il tunisino Azouz Marzouk per la “strage di Erba”, in realtà compiuta da una coppia di italiani.

Il primo punto è relativo all’utilizzo improprio di alcuni termini quando si parla di migranti:

Adottare termini giuridicamente appropriati sempre al fine di restituire al lettore ed all’utente la massima aderenza alla realtà dei fatti, evitando l’uso di termini impropri.

L’attenzione dei media italiani nel collegare la nazionalità con il reato è dimostrata anche da una ricerca condotta dal professore Ernesto Calvanese che ha analizzato i contenuti degli articoli riguardanti immigrati su La Repubblica, Il Giornale e Corriere della Sera dal 2005 al 2008. In sintesi risulta che la carta stampata parla tanto degli stranieri ma lo fa esclusivamente in termini di conflittualità e di problematicità sociale.

Emerge chiaramente come le testate analizzate abbiano sostanzialmente riportato pressoché globalmente la delittuosità straniera (con uno scarto del 3,47% tra quella denunciata e rappresentata), mentre, secondo un andamento inverso, la delittuosità degli italiani è stata fortemente sotto-rappresentata (30,61% in meno rispetto ai dati statistici ufficiali).

PAROLE COME SASSOLINI. La stampa italiana è ricca non solo di parole come macigni, ma anche di tanti sassolini: i luoghi comuni. L’abuso di questi termini è una cattiva abitudine che spinse Arrigo Benedetti, direttore di Paese Sera, a emanare nel 1976 un decalogo di regole su “come scrivere” in cui uno dei punti era proprio quello relativo ai luoghi comuni e alle frasi fatte da evitare.

Non si usano verbi inventati, come evidenziare, presenziare, potenziare, disattendere; o superflui come effettuare per fare, iniziare per cominciare; i francesismi come ‘a mio avviso'; le frasi fatte come madre snaturata, folle omicida, agghiacciante episodio, in preda ai fumi dell’alcool, i nodi da affrontare, nell’occhio del ciclone, l’apposita commissione, e gli aggettivi che servono a caricare d’infamia chi non ne ha bisogno, come criminale fascista, l’infame dittatore.

Una regola, quella dei decaloghi, che è arrivata fino ai giorni nostri. Un esempio è quello voluto da Marco Travaglio prima dell’uscita de Il Fatto Quotidiano.

In vista dell’uscita del Fatto Quotidiano, il giornale che ho contribuito a fondare (…) affiggerò in redazione l’elenco delle frasi fatte e luoghi comuni che mi danno l’orticaria sugli altri giornali e che non vorrei mai trovare sul nostro.

LE DUE FACCE DI TWITTER. I giornalisti interpellati sono tutti d’accordo sulla facilità con cui si può cadere nei tranelli delle frasi fatte soprattutto ora nell’epoca dell’immediatezza di Twitter. Se da una parte si rischia di usare con più facilità luoghi comuni e termini non deontologicamente corretti, dall’altra, grazie all’attenzione degli utenti che le segnalano, i media non possono fare finta di niente.

Secondo Yann Guégan la stampa continua ad abusare dei cliché perché “permettono una rapida traduzione delle idee in tempi veloci, quelli richiesti per la stesura di un articolo”, invece per Arianna Ciccone “è un retaggio sub culturale. Per i giornalisti prima era la chiusura del giornale a far sì che capitasse di cadere in luoghi comuni, ora con la velocità di Twitter è ancora più facile incappare in queste trappole”.

“La vera sfida – conclude Arianna Ciccone – resta la qualità, la riflessione, la cura verso la notizia. Vincerà chi riuscirà a coniugare la velocità con la qualità”.

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Un commento to ““Ma quali ‘Omicidi passionali’!”: rivolta Twitter contro i cliché”

  1. […] i piccoli inciampi della stampa sia essa cartacea che online. Durante l’iniziativa su Twitter #parolecomepietre si è riflettuto più volte sull’abuso del termine delitto passionale. E sempre su questa […]