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Wikipedia, Facebook e Twitter: le (cattive?) abitudini dei giornalisti

di    -    Pubblicato il 19/03/2013                 
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Raccolta di notizie e verifica delle fonti: ecco i compiti principali di un giornalista. Guai a parlare di Wikipedia, guai a pensare che i più grandi giornalisti del mondo possano trovare le proprie notizie sui social network.

E se, invece, fossero proprio queste le loro piattaforme preferite? A far scattare il dubbio ci ha pensato “10 yetis”. Non dieci uomini delle nevi ma dieci pr (e un basset hound di nome Hugo) che dal 2005 si divertono a fare ricerche su fenomeni mediatici e sociali.

L’ultimo lavoro di questa giovane agenzia inglese di Public Relations è Likes, Loves and Loathes of Journalists based in UK, France, Germany and America (tradotto liberamente:  Quello che piace e quello che non piace ai giornalisti inglesi, francesi, tedeschi e americani), una ricerca che analizza le abitudini dei giornalisti provenienti dai quattro angoli del mondo. Oltre 2600 professionisti, attivi sulle maggiori testate internazionali, hanno risposto ad un questionario di 11 domande su temi ‘scomodi’ dell’etica giornalistica, come l’uso di Wikipedia, Twitter e Facebook per cercare notizie.

La prima parola “scomoda” è proprio Wikipedia. Dalla ricerca emerge che il 91% dei media nazionali tedeschi e l’82% di quelli inglesi usano sistematicamente Wikipedia per informarsi su un argomento di cui si stanno occupando. “Ogni giornalista che ha ammesso di usare la piattaforma partecipativa ha tuttavia precisato di verificare la correttezza di ogni informazione riportata e di usarla solo per ‘farsi un’idea’ sull’argomento in questione”, si legge nella ricerca.

Altre parole ‘scomode’ sono Twitter e Facebook. Il 70% dei media inglesi giudica Twitter un valido alleato nel lavoro quotidiano di ricerca di informazioni. Un dato significativo soprattutto se confrontato con quanto emerso per i media tedeschi: l’80% dei primi non si fiderebbe delle notizie scovate sul social network. I giornalisti statunitensi, invece, sarebbero indifferenti al suo utilizzo come fonte di informazione. Cosa nella realtà abbastanza strana, perché è proprio dagli Stati Uniti che è iniziato l’uso ‘forte’ di Twitter da parte dei politici e i giornalisti Usa sono stati i primi a rendersi conto che il social network era diventato una fonte primaria e diretta di news.

Non sono neutrali, invece, i media italiani: Giuseppe Smorto, direttore di Repubblica.it, intervistato per dare uno sguardo ai media italiani, testimonia come spesso Twitter possa servire per arrivare primi sulle notizie. “Twitter è molto utile – afferma Smorto – perché ti collega al personaggio che segui. Quando si sono sciolti i Rem, un collega che seguiva il gruppo musicale su Twitter colse la cosa al volo e diede subito la notizia che fu pubblicata in tempo reale, prima di tutti gli altri”.

Per quanto riguarda Facebook, invece, il 15% dei giornalisti francesi, tedeschi e americani intervistati ammette di usare il social network soprattutto per cercare informazioni su determinate aziende. Anche se l’organizzazione piuttosto caotica e cronologica delle pagine Facebook non è esattamente l’ideale per chi deve cercarvi notizie. “Roba da far venire il mal di testa a questi giornalisti” commentano ironici i pr autori della ricerca.

La ricerca delle notizie sui social media potrebbe, dunque, rivelarsi confusa. Tutto il contrario del caro vecchio comunicato stampa che, secondo la ricerca, è ancora lo strumento più usato dai giornalisti. Ancora Smorto, a proposito delle fonti dei media italiani, spiega: “In testa, per quanto riguarda i siti online, restano  le agenzie di stampa. Ma anche sul web, come sulla carta, rimangono fondamentali i contatti diretti che i giornalisti hanno con le fonti: strutture, organismi, istituzioni, pubbliche amministrazioni, aziende ecc… Il comunicato stampa (quasi sempre, ormai, sotto forma di e-mail) è ancora utilizzato dalle redazioni italiane ma stanno acquistando importanza le piattaforme social. Oggi, in particolare con lo sviluppo di movimenti politici molto presenti sul web, i social network devono essere costantemente monitorati”.

Nonostante i social media non si piazzino ancora in posizioni molto alte come fonti di informazione, condividere i contenuti degli articoli e ricevere like e commenti sarebbe, secondo la ricerca, una delle più grandi preoccupazioni dei giornalisti al lavoro. Ormai, quasi tutti i giornali online sono dotati di meccanismi che permettono di valutare in tempo reale quanti “mi piace” o “consiglia” o “condividi” ha ricevuto un articolo. Non c’è giornalista che non segua ansiosamente l’andamento dei suoi pezzi da questo punto di vista. E questo, a volte, viene anche prima dell’ansia della “deadline”, e dell’eccessivo carico di lavoro (nel Regno Unito ogni giornalista deve scrivere al giorno più di 7 articoli contro i 3 dei giornalisti americani) e delle pressioni da parte della pubblicità, che bombarda le redazioni.

Lo stress maggiore, comunque, verrebbe proprio dalla necessità di viralizzare la notizia, cioè di farla circolare sempre di più tra i social network. “Nel nostro gruppo di lavoro – conclude Smorto – abbiamo la figura del social media editor, un deskista incaricato di rilanciare continuamente i nostri contenuti su Facebook e Twitter, ma anche sui motori di ricerca. Io credo che questa figura debba essere ben integrata nella redazione, lavorare accanto agli altri e tenerli aggiornati sulla sua attività di ‘viralizzatore’. E’ un compito molto importante. Il nostro obiettivo, in ogni tempo, è raggiungere il maggior numero di lettori.”

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