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Sara ed Emanuele via da Urbino: una città che vive sull’impiego statale

di    -    Pubblicato il 25/03/2013                 
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Sara Moschini, una giovane urbinate costretta a trasferirsi a Milano per lavorare

URBINO – Sono le cinque e mezza di venerdì pomeriggio. Chiamiamo Sara. È in treno e sta tornando, come tutti i fine settimana, da Milano a Urbino.

Sara ha 32 anni, si è laureata in lingue a Urbino e ha poi seguito un master in lettere. Nel 2006 è andata a fare stage a Bruxelles e Bologna. Aveva 27 anni. Da allora, è tornata a Urbino solo per pochi mesi, lavorando nell’organizzazione di eventi per l’Università. Le sue passioni l’hanno però portata di nuovo lontana dalle Marche. Il mondo della moda e dell’editoria l’ha chiamata a Milano, dove ora lavora per Donnamoderna e Grazia.

La prima cosa che Sara vuole sottolineare è la mancanza di case editrici a Urbino. “Non ci sono possibilità di lavorare nel mondo editoriale – dice Sara – e ancora di più manca il collegamento tra moda ed editoria”. Eppure nella città ducale esiste una scuola di moda. Nelle vicinanze di Urbino ci sono varie aziende del settore, come Piero Guidi.

“Le persone che lavorano in azienda nell’area urbinate ci sono, ma non in città. In molti vanno a Rimini”, sostiene Sara. Il vero problema è l’assenza di lavori creativi. Come esempio Sara porta il caso dei grafici, che in città praticamente non esistono.

Urbino rimane un’isola felice, ma sempre di un’isola si tratta e il problema è proprio quello dell’isolamento. “Gli urbinati hanno paura di rovinare la città con l’industria – continua Sara – e stesso discorso vale per il turismo”.
Parla di un’isola felice anche Emanuele, un ragazzo di 35 anni che lavora a Milano ma che è molto legato a Urbino. La vita l’ha costretto ad abbandonare la sua città, ma la voglia di tornare è tanta. Lo dimostra la sua attività online: Emanuele partecipa a chat e forum su internet e su Facebook, parlando dei problemi del lavoro a Urbino.

Emanuele è andato via  dopo aver concluso i suoi studi universitari. Voleva fare il giornalista o il fotoreporter. Alla fine si è trovato a lavorare nel mondo dello spettacolo. E ora vorrebbe tornare a Urbino, ma non ci sono possibilità di lavorare nel suo settore. L’unica possibilità è inviare il curriculum ad aziende di Pesaro o di Fano. Emanuele, però, ha voluto a tutti i costi che suo figlio nascesse nella città ducale. “È singolare, ma solo fra le mie conoscenze posso contare circa 60 ragazzi urbinati di 30 anni che lavorano e vivono fuori da Urbino”.

Così esordisce Emanuele. Si nota subito che a lui è chiaro il problema: “Urbino ha basato la sua economia solo sullo Stato – scuole, università, ospedale, tribunale. Manca una politica economica strategica”. Ma ora lo Stato ha difficoltà ad assumere. E l’unica vera “industria” di Urbino è l’università.

“Le imprese non vengono incentivate a sufficienza, non esistono vere politiche commerciali”, continua Emanuele. L’unica vera possibilità “non statale” per i lavoratori urbinati è la Benelli. Ma il paradosso è che la fabbrica di armi cerca ingegneri e operai. Peccato che l’università di Urbino non abbia una facoltà di ingegneria e che gli urbinati siano, per lo più, laureati che non puntano a un posto da operaio.

“Mancano, dunque, le aziende che offrono posti di lavoro ai neo-laureati. E manca, di conseguenza, un ipotetico ponte che l’università dovrebbe creare col mondo del lavoro – continua Emanuele – questo, però, non è certamente solo un problema di Urbino”.

Altro spunto interessante emerge dalla “socializzazione online” che Emanuele quotidianamente compie. La sua partecipazione a forum e chat gli ha permesso di sviluppare l’idea che esista una netta frattura generazionale: i giovani fino ai 35-40 anni, infatti, lo sostengono nelle sue critiche alle politiche lavorative del Comune. Diversamente, le persone dai 45 anni in su si mostrano molto conservatrici e vorrebbero che non cambiasse nulla della situazione esistente. “Hanno paura che la città possa rovinarsi con nuove attività commerciali. Il turismo basta e avanza”. Questa è la sua ipotesi.

Urbino è, per lui, “un’isola felice che si regge sull’impiego statale”. Così i meno giovani non si rendono ancora conto della situazione. I loro figli sono ancora piccoli e non hanno necessità di inserirsi nel mondo del lavoro. Ma presto anche loro si troveranno di fronte al problema della mancanza di lavoro e sarebbe opportuno muoversi prima per evitare che questo giorno arrivi.

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