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Corea del Nord: com’è difficile spiegare un paese senza giornalismo

di    -    Pubblicato il 5/04/2013                 
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I missili a medio raggio coreani

I missili a medio raggio coreani che sarebbero puntati verso la Corea del Sud e le basi Usa

Anche quest’anno è penultima nella classifica mondiale della libertà di stampa di Reporter senza frontiere (l’ultima è l’Eritrea). Uno dei pochi Stati ancora dichiaratamente autoritario, la Corea del Nord  non gode dell’attenzione costante di media ed opinione pubblica, tranne in momenti particolari come questo. L’altro ieri infatti, dopo un’escalation di tensioni diplomatiche, il Caro Leader Kim Jong-un, minacciando Corea del Sud e Stati Uniti con l’atomica, ha riconquistato le prime pagine dei giornali di tutto il mondo. Oggi la Corea del Nord avrebbe due missili a medio raggio puntati su Seul e sul Giappone.

“Purtroppo paesi come questi, la cui situazione particolare meriterebbe spesso di essere al centro dell’attenzione, sembrano essere dimenticati dai media, in particolare da quelli italiani”. A dirlo è Ludovico Tallarita, 22 anni, studente italiano di Relazioni Internazionali alla London School of Economics, che, grazie a una visita organizzata dall’università, ha ottenuto un lasciapassare di due settimane per Pyongyang. Lui ha raccontato la sua esperienza sulle pagine del Corriere della Sera, insieme a un altro studente italiano, Giovanni B. Conte.

Boom di ricerche per Corea del Nord su Google

La crescita delle ricerche su Google sulla Corea del Nord

Un articolo pubblicato su Foreign Policy mostra la crescita di attenzione per la Corea del Nord nell’ultimo mese: stando ai dati di Google Search, dall’inizio di marzo, le ricerche su questo Stato si sono raddoppiate. L’autore dell’articolo, John Hudson, mostra che l’escalation mediatica si è già verificata nel 2004, quando a governare lo “Stato canaglia” più a oriente c’era Kim Jong-il, padre dell’ attuale leader, che minacciava allo stesso modo Seul per venire a patti con l’Occidente.

“La Corea è un sistema chiuso – spiega Tallarita – forse la più grande vittoria del regime è l’aver tenuto la popolazione distante dalla maggior parte di quello che accade fuori dai confini nazionali. Le parate militari, i pianti commossi della popolazione, il passaggio ereditario della dittatura cui abbiamo assistito (i 100 giorni di lutto per la morte di Kim Jong-il, ndr) ci hanno restituito l’immagine di un paese 50 anni indietro”.

Soltanto nel gennaio 2012 l’Associated Press è riuscita ad aprire il suo primo ufficio a Pyongyang, a coprire grandi eventi mediatici organizzati dal regime, come le parate del venerdì. Fino a quel momento, per raccontare uno degli ultimi regimi rossi, i giornalisti si sono dovuti infiltrare, rubando informazioni, scatti e video. “Ancora oggi molti giornalisti occidentali non si dichiarano tali per girare più liberamente”. Santiago Lyon, direttore dell’Ap fotografia, sottolineando le difficoltà nel fare informazioni sulle dittature, ha dichiarato all’Huffington Post che in Corea del Nord: “Non esiste una tradizione di giornalismo indipendente”.

Tallarita racconta: “Non mi è capitato di vedere veri e propri giornalisti. Si trattava di annunciatori in televisione, organizzatori di eventi ufficiali, ma niente di più. I giornali sono tutti uguali e i titoli di apertura più o meno recitano tutti la stessa formula: oggi Kim Jong-un ha fatto questo. Il regime ha vietato i cellulari, il mio infatti l’ho ripreso il giorno del ritorno, mentre è possibile scattare foto.”

Le guide sono il tramite obbligato tra gli stranieri ed il governo: “Gli unici coreani – continua Tallarita – con cui abbiamo potuto scambiare qualche parola, funzionari del governo autorizzati a studiare altre lingue, ad entrare in contatto con gli stranieri e mostrare loro solo ciò che il governo vuole venga mostrato”. A parte l’ostacolo linguistico, per i giornalisti, così come per i turisti, è difficile ottenere l’autorizzazione per parlare con le persone in strada: secondo Santiago Lyon, grazie all’Ap è stato introdotta la vox populi, ancora di difficilissima realizzazione.

Ludovico e la sua guida hanno passato una brutta mezz’ora perché lui si è allontanato e ha preso un’altra metro rispetto a quella della sua delegazione, scendendo alla stazione successiva. “Nel vagone mi guardavano tutti con stupore: non sono abituati a vedere stranieri. Io ero colpito da quanta gente in divisa mi circondasse: quasi un coreano su tre ha ruolo nell’esercito”. Proprio uno dei passeggeri in divisa lo ha fatto scendere dal treno e, grazie al cartellino identificativo, lo ha ricondotto dalla sua guida. “Si sono allontanati a parlare, dopo un quarto d’ora circa sono ricomparsi. ‘Puoi stare tranquillo’, mi ha detto sorridendo la guida, che credo abbia pagato il militare per chiudere un occhio. Ho veramente temuto il peggio”.

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