URBINO – DiSTeVA, Disbef, Desp: più che nomi, un elenco di acronimi a portata degli addetti ai lavori. Sono i dipartimenti, otto in tutto, che da maggio 2012 hanno soppiantato le facoltà dell’Università “Carlo Bo”. Un obbligo imposto dalla riforma Gelmini che ha fatto confluire in un unico soggetto le funzioni didattiche e di ricerca. Una veste nuova per l’ateneo urbinate, ma non l’unica metamorfosi di questi ultimi anni: dopo mezzo millennio di storia, l’Università è sempre meno centro umanistico e sempre più polo scientifico.
Un cambio di passo visibile soprattutto se si guardano i dati delle nuove immatricolazioni: a registrare un salto in avanti è il Disbef (Dipartimento di Scienze di Base e Fondamenti, che comprende la scuola di Conservazione e Restauro) con un aumento degli iscritti del 15,60% rispetto allo scorso anno accademico. Cresce il numero delle matricole anche al DiSTeVA (Dipartimento di Scienze della Terra, della Vita e dell’Ambiente) e del Disb (Dipartimento di Scienze Biomolecolari), con un incremento del 4,75% e del 3,47%.
Unico dipartimento dell’Area Umanistica a conservare appeal è il Disti (Dipartimento di Studi Internazionali, Storie Lingue e Culture, l’ex Facoltà di Lingue) con un trend delle immatricolazioni del 10%. Calano le iscrizioni, invece, negli altri quattro dipartimenti: Digiur (ex Giurisprudenza, -6,86%), Dipsum (Dipartimento delle Scienze dell’Uomo, ex Scienze della Formazione, -10%), Discum (Dipartimento di Scienze della Comunicazione e discipline Umanistiche, -11%) e Desp (Dipartimento di Economia Società e Politica, -12,57%).
Anche l’offerta didattica conferma il crescente peso delle materie scientifiche in un Ateneo tradizionalmente umanistico: dei 35 corsi di laurea triennale, specialistica o a ciclo unico, 14 appartengono all’Area Scientifica (Disbef, Disb e DiSteVA), 12 all’Area Umanistica (Discum, Dipsum e Disti) e 9 all’Area Geps (Digiur e Desp).
Le strutture scientifiche sono premiate inoltre dalla distribuzione delle risorse per la ricerca: ad esempio il Dipartimento di Scienze Biomolecolari ha ricevuto dall’Ateneo 142 mila euro, contro i 72 mila destinati al Dipartimento di Scienze dell’Uomo. “È il costo della ricerca scientifica – commenta Flavio Vetrano, direttore del Disbef – un dipartimento che utilizza un reattore chimico deve comprare continuamente i reagenti e arriva a spendere in un mese ciò che un dipartimento umanistico spende in ricerca in un anno intero”.
Ma da qui a dire che Urbino sta cambiando pelle ce ne passa: “Non c’è una vera inversione di tendenza – spiega Vetrano – è chiaro che se ci riferiamo agli ultimi tempi forse si può parlare di cambiamento, ma i dati appaiono più evidenti alla luce del calo complessivo delle iscrizioni, che è più marcato nel campo umanistico. Urbino è virtuosamente molto stabile, ma le facoltà scientifiche sono state capaci di attrarre non solo gli studenti ma anche finanziamenti di soggetti esterni all’Ateneo…”.
“Non vedo uno sbilanciamento a favore dell’area scientifica – ribadisce il professor Settimio Lanciotti, coordinatore della Scuola di Lettere Arti e Filosofia – anche gli alti tassi di iscrizione non si ripeteranno nei prossimi anni perché anche in quel campo il mercato del lavoro arriverà a saturarsi e i rapporti tra corsi scientifici e umanistici si riequilibreranno. Non abbiamo avuto turn over per almeno 7 anni, e dunque abbiamo dovuto comprimere anche l’offerta didattica, ma non credo che l’area umanistica finirà per diventare un ramo secco”.
Del resto è lo stesso rettore Stefano Pivato ad assicurare che si sta lavorando su entrambi i fronti: “garantendo uno sviluppo uniforme ed equilibrato di tutte le aree”, ma una cosa è sicura: all’ombra dei Torricini, l’Umanesimo non potrà che essere scientifico.